di Vasilis Tempelis, 06/04/2021, Gazzetta.gr

Traduzione di Enzo Navarra

Abel Ferreira parla per la prima volta alla stampa greca dal suo addio al Paok grazie a gazzetta.gr. Ivan e Giorgos Savvidis, Rebbe, Pablo García, Lucescu, Čolak, Tzolis, Giannoulis, l’Olympiakos, Pedro Martins, la sconfitta al Vikelidis, la vittoria al Karaiskakis e l’arbitraggio, il trasferimento in Brasile, la sua “eredità” e gli errori compiuti.

Arrivato in Grecia al posto di Răzvan Lucescu, il quale pochi giorni dopo l’inizio della preparazione e reduce dalla migliore stagione nella storia del Paok (quella della doppietta campionato-Coppa), ha annunciato il suo addio come un fulmine a ciel sereno per andare in Arabia Saudita [all’Al-Hilal, N.d.T]. Abel Ferreira, per il quale il Dikefalos [soprannome del Paok, letteralmente Bicefalo dallo stemma con l’aquila a due teste, N.d.T] ha speso 2.500.000 euro al Braga, è rimasto un anno e mezzo sulla panchina dei bianconeri.

Ha lasciato sul finire dello scorso ottobre con destinazione Rio de Janeiro. In pochi mesi ha trasformato il Palmeiras e ha conquistato la Coppa Libertadores e la Coppa del Brasile.

Dal nadir allo zenit. Il 42enne tecnico portoghese parla a gazzetta.gr del suo passaggio al Paok con persone e fatti. Perché il Dikefalos non ha conquistato alcun trofeo? Cosa è successo nel calciomercato? Quali sono stati gli errori che ha commesso? Come è stata la rivalità con l’Olympiakos?

La rivelazione di Dimitris Giannoulis e il Liverpool, il mea culpa per Čolak, le differenze con Răzvan Lucescu, il rapporto con Ivan e Giorgos Savvidis [il primo è il presidente e patron del Paok, mentre il secondo è il figlio, anch’egli membro della società, N.d.T].. La collaborazione con Olaf Rebbe, la vendita di Chuba Akpom e la frustrazione della Champions League, l’ultima indicazione a Christos Tzolis prima del suo debutto, Pablo García che viene criticato così tanto.

La striscia di imbattibilità interrotta al Kleanthis Vikelidis [lo stadio dei rivali cittadini dell’Aris, N.d.T], l’imbattibilità dell’Olympiakos interrotta proprio da lui al Karaiskakis, l’arbitraggio, il suo amico Pedro Martins. Il “miracolo” con il Palmeiras e le lacrime dopo la finale di Coppa Libertadores.

Ti senti un po’ come un re a San Paolo?

No. Sono uno che lavora per il Palmeiras, uno che ha contribuito in maniera diretta nella realizzazione del sogno del Palmeiras: la conquista della Libertadores dopo 22 anni, la rispettiva Champions League. Poi è arrivata anche la Coppa. Sono semplicemente una delle persone che ha aiutato la squadra a raggiungere questo obiettivo. Un trofeo che era molto importante per la società, i giocatori e i tifosi. Quando ero arrivato [a fine ottobre del 2020, N.d.T], mi avevano chiesto di centrare qualcosa di simile nell’arco di un triennio.

Non sei riuscito a trattenere le lacrime dopo il triplice fischio della finale e la conquista della Libertadores. Cosa ti passava per la mente in quel momento?

Non ci sono riuscito perché ho lavorato molto per arrivare fino a quel punto. Sono passati dalla mia mente tutti i giocatori con cui ho collaborato. Del Braga, dello Sporting e del Paok. Il Paok è stato una grande lezione per me, ho lavorato con giocatori esperti che mi hanno aiutato molto. La gente ti vede piangere ma tu in quel momento ti liberi dopo tutto il lavoro che hai fatto. Le persone che ti sei lasciato dietro, avevo anche la famiglia in Portogallo a causa del coronavirus… Era un momento di gioia, di gratitudine. La strada che ho percorso dal 2012 fino ad oggi. Tutto questo cammino.

Sei pronto a tornare in Europa?

Il mio intento è quello di continuare con il Palmeiras. Abbiamo trofei per cui dobbiamo lottare. Ho il contratto per altri due anni e sto bene dove mi trovo in questo momento. Il mio futuro è nel Palmeiras.

Ritieni che sia stata deludente la tua esperienza al Paok?

La mia esperienza al Paok è stata assolutamente importante per quello che mi sta accadendo ora al Palmeiras. Non posso dimenticare il fatto che il Paok abbia pagato 2.500.000 euro al Braga per un allenatore. Voleva che organizzassi una rosa con un mix di giovani ed esperti per continuare serenamente a lottare contro l’Olympiakos, il nostro rivale più accreditato. E l’abbiamo fatto. Abbiamo cominciato la stagione [2019-2020 nel secondo turno preliminare di Champions, N.d.T] con un sorteggio non così fortunato contro l’Ajax. È stata una grande delusione quando siamo stati eliminati anche dall’Europa League [nei playoff contro lo Slovan Bratislava, N.d.T]. Si trattava di un danno anche dal punto di vista economico perché l’accesso nei gironi di Europa League ci avrebbe dato tanti soldi. Possiamo anche non aver sollevato alcun trofeo – non abbiamo vinto nulla, è la verità – ma abbiamo valorizzato i giocatori, investendo su giovani talenti e mettendo su un organico competitivo, come si è visto la scorsa estate. Siamo partiti [nel 2020-2021, N.d.T] in maniera energica, con qualche innesto per equilibrare la squadra e abbiamo fatto un buon lavoro fino ad arrivare al Krasnodar. Abbiamo eliminato il Beşiktaş e il Benfica. Siamo capitati sul Krasnodar, una squadra che investe parecchio ogni stagione. Ha giocato meglio di noi in quelle due partite e siamo andati in Europa League. Era importante tanto perché proseguivamo la nostra avventura europea, quanto perché è entrata una somma importante nelle casse della società. La mia avventura al Paok, dal mio punto di vista, è stata molto positiva perché è una squadra particolare, in cui se vuoi rimanere in piedi devi avere carattere, personalità e tanta passione. È stata una bella esperienza positiva. Ripeto che questo periodo mi ha aiutato al Palmeiras. Non avrò conquistato nulla ma è venuta una squadra come il Palmeiras dal Paok e ha detto “Voglio il tuo allenatore”. Quindi abbiamo combinato qualcosa. Vuoi per il sistema di gioco, vuoi per la volontà di lanciare i giovani…

Nel giro di sei mesi dopo aver lasciato il Paok hai vinto Libertadores e Coppa col Palmeiras in Brasile. È una sorta di rivincita personale nei confronti delle critiche che hai ricevuto quando sei stato al Paok?

Le critiche fanno parte del gioco e devi essere pronto a riceverle. Quando Ivan e Giorgos Savvidis mi ha offerto di allenare il Paok, veniva praticamente dalla migliore stagione della sua storia. Il Paok non aveva mai vinto campionato e Coppa in una singola annata. Quando sono arrivato c’erano tanti infortunati. Mi riferisco a Vieirinha, Wernbloom, che non ha mai giocato, e a Mauricio. Tre titolari della squadra che ha vinto tutto nella stagione precedente. Tenendo da parte questo, la squadra doveva essere rinnovata. Cañas e Shakhov erano partiti. Abbiamo rilevato una squadra a cui dovevamo cambiare l’ossatura, ossia il centrocampo. Le critiche ci stanno perché al Paok devi sempre vincere. Al Paok vieni solo per vincere, non c’è un’altra strada da percorrere. Sapevamo che ci sarebbe stato tanto lavoro da fare, perché dovevamo fare un organico con giocatori giovani ed esperti. Era il mio primo anno in Grecia, naturalmente ho commesso qualche errore. Il mio modo di lavorare penso sia totalmente diverso da quello di Lucescu, il quale ha il suo nome inciso nella storia del Paok per quello che ha conquistato, però il mio gioco è totalmente differente. L’inizio è stato difficile per i giocatori, perché si dovevano adattare. Dal momento che il Paok ha vinto i due trofei nazionali, tutte le avversarie si sono rinforzate: Olympiakos, Aek e anche il Panathinaikos, che sta per tornare alla normalità dal punto di vista economico. Soprattutto l’Olympiakos si è rinforzato. Sai quanto ha investito nell’estate dopo le vittorie del Paok? Penso tuttavia che abbiamo lasciato la squadra dal punto di vista delle infrastrutture, dell’organizzazione, del gioco e del modo di lavorare in una condizione migliore rispetto a quella che abbiamo trovato. Grazie anche ai giovani a cui abbiamo dato un’occasione, ai rapporti della prima squadra con le giovanili. Abbiamo lanciato Tzolis, Michailidis, Tsingaras… giocatori a cui si affida anche il nuovo allenatore, Pablo, che li aveva nelle giovanili.

Ci sono molti che ad esempio dicono a posteriori che «non hanno lasciato lavorare Abel come avrebbe voluto» oppure «la pressione era senza precedenti»…

Mi assumo le mie responsabilità. Le responsabilità dei risultati, ossia il fatto di non aver sollevato alcuna coppa. Per i tifosi il responsabile è l’allenatore. Ma all’interno della squadra siamo tutti responsabili. Non dimentichiamoci che il Paok aveva un grande problema col Financial Fair Play. Nel gennaio della prima stagione non è arrivato nessuno e il nostro lavoro è diventato più difficile. Però mi è stata chiesta calma – per questo ho firmato un triennale e il Paok ha speso 2.500.000 per avermi – in modo da rimodellare un organico che aveva perso tanti giocatori, cercando di lanciare giovani. Ragazzi che stavano vincendo i campionati giovanili negli ultimi anni. So che l’obiettivo del Paok è sempre quello di vincere e ciò mi piace, per questo sono andato via dal Portogallo e dai miei agi. In molti non conoscevano il Braga. Ora sanno come lavorano e come ha eliminato in maniera agevole l’Aek [nei gironi di Europa League di questa stagione, N.d.T]. Il Braga ha buoni giocatori, un nuovo centro di allenamento, un nuovo stadio, è una grande squadra. Non lo avevano capito in molti in Grecia. Quello che posso dire è che abbiamo lavorato con quello che avevamo a disposizione, siamo arrivati secondi dopo una stagione in cui il Paok aveva conquistato tutto e sapendo che i nostri avversari si erano tutti rinforzati. Soprattutto l’Olympiakos, che si è rinforzato molto e bene per contrastare il Paok. Mi assumo le mie responsabilità da allenatore, ma non scordiamoci: il Liverpool quest’anno non ha vinto nulla e nella scorsa stagione ha vinto tutto. Non hanno cacciato Klopp e non hanno nemmeno criticato i giocatori. Il calcio è così. In una stagione vinci ma devi sempre continuare a migliorarti. Vorrei ringraziare tutti gli uomini del Paok che si sono comportati bene, ma anche la signora del supermercato e della panetteria. È stato un onore e credo che un giorno tornerò in Grecia.

Ti sei già riferito una volta a Răzvan Lucescu. Non era un rischio rilevare il Paok dopo una stagione assolutamente di successo, conoscendo il fatto che sarebbe stato difficile ripetersi?

Lucescu è stato un grande allenatore per il Paok. Ha vinto quello che non è riuscito a vincere nessun altro allenatore. Ha vinto quello che io non sono riuscito a conquistare. Conosceva il campionato perché era già in Grecia [Lucescu ha allenato lo Xanthi dal 2014 al 2017 prima di passare al Paok, N.d.T]. Invece io non conoscevo il campionato greco come Lucescu. Ha conquistato il campionato e la Coppa, se lo meritavano sia lui che i giocatori. Come ho detto prima, da una stagione all’altra tanti giocatori sono partiti: Sérgio Oliveira, Cañas, Shakhov, Prijović. Avevamo Vieirinha, il nostro capitano che è stato decisivo in tante partite della stagione del double, e Mauricio che erano infortunati. Se ti ricordi, a gennaio eravamo al primo posto. Con i nostri errori, perché ne abbiamo commessi. Tutti sbagliano qualcosa nel calcio. Ripeto, a gennaio il Paok era primo. Hanno rubato sette punti al Paok [per il discorso della multiproprietà con lo Xanthi, i bianconeri hanno subito una penalizzazione, N.d.T]. Sette punti che poi ci hanno riconsegnato. Però in quel momento della stagione questo ci ha fatto del male dal punto di vista mentale. Lucescu ha scritto la storia in questa squadra, ma non posso dimenticarmi di questi sette punti. Eravamo a sette punti dalla vetta, se avessimo vinto in casa ci saremmo portati a quattro lunghezze e all’improvviso ci siamo ritrovati a -14! È stata come una bomba che è scoppiata per noi.

La maggior parte dei tifosi ha sentito il nome «Tzolis» quando gli hai dato l’occasione di giocare. Cosa gli hai detto prima del suo debutto? Squadre come il Manchester United e il Borussia Dortmund sono interessate a lui. Credi che un giorno potrà giocare nello United?

Quando ho cominciato ad allestire la rosa ho scelto tre ragazzi da aggregare nella prima squadra: Michailidis, Tsingaras e Tzolis. Si allenavano con i più grandi ed è stato un periodo fondamentale per loro. Dopo l’allenamento di squadra, andavamo sul lavoro individuale: Tzolis è stato uno dei giocatori che abbiamo puntato a migliorare. Non ha mai smesso di migliorare durante la stagione. Complimenti quindi a Tzolis, agli allenatori delle giovanili, ai suoi genitori. Complimenti ovviamente al Paok che ha puntato su di lui. Sono stato uno dei tanti che lo hanno aiutato. Ho trovato il coraggio di lanciare lui, come anche Michailidis. Per questo mi hanno assunto. Per costruire l’ossatura del Paok che si appoggiasse sui giocatori delle giovanili. Non mi stupisce che il suo nome sia chiacchierato tra le big d’Europa. Ha la qualità e le potenzialità per giocare ad alti livelli. Non so cosa succederà ma il Paok è consapevole di avere un calciatore di valore che gli porterà un’ingente somma nelle proprie casse. I miei giocatori sanno cosa devono fare con il pallone, senza il pallone, dove attaccare, dove difendere. Ma ti dirò anche cosa gli ho detto prima del suo debutto. Gli ho detto: «Pensa che è più difficile giocare le partitelle in allenamento, così come le facciamo noi, che in una partita reale. Vai e goditela». 

Giannoulis è un altro giocatore a cui ti sei appoggiato e che hai lanciato. In Grecia abbondano i paragoni, ad esempio con Tsimikas. Per lo stesso ruolo, per il prezzo con cui sono stati venduti…

Ti svelerò una cosa. Sono molto amico di uno dei collaboratori di Klopp – un portoghese che ha nel suo staff, potete capire di chi parlo [probabilmente si tratta di Vítor Matos, tecnico delle giovanili dei Reds, N.d.T] – e ti dirò questo. Il Liverpool osservava due terzini sinistri in Grecia: uno era Tsimikas e l’altro era Giannoulis. Sono giovani, hanno una tenuta fisica sopra la media e la Nazionale greca è fortunata perché può trarre molto da entrambi. Mi piacciono tutti e due, soprattutto Giannoulis perché l’ho allenato. Era un dato di fatto nel Paok che prima o poi lo avremmo venduto perché erano arrivate delle offerte, tra cui una del Porto. Il Liverpool ha scelto Tsimikas per un semplice motivo. L’Olympiakos ogni anno affrontava squadre inglesi come Arsenal o Wolves: è stata la principale ragione per cui è stato preso. Non ho alcun dubbio che Giannoulis possa giocare prossimamente in una big di un importante campionato europeo.

Il momento più duro è stata la sconfitta contro l’Aris e la fine della striscia di imbattibilità? E, al contrario, il momento migliore è stata la vittoria sull’Olympiakos al Karaiskakis, interrompendo la loro imbattibilità?

L’eliminazione dall’Europa League è stato un momento difficile. Quando abbiamo subito la rete all’ultimo minuto contro lo Slovan e al ritorno abbiamo fallito troppe occasioni con cui potevamo strappare il pass. Quando abbiamo perso con l’Aris eravamo primi. Ricordo che l’Aris ha segnato al primo tiro in porta. È stato un risultato pesante e bugiardo. Avremmo potuto risolvere la partita a nostro favore nel primo tempo perché siamo entrati molto bene in campo. Se leggete le statistiche – se me le ricordo bene – l’Aris ha avuto sei occasioni e ha segnato quattro reti. Era un momento difficile ma dovevamo andare avanti. Conoscevo la rivalità con l’Aris ma esiste una mancanza di equilibrio in Grecia: o sei il migliore o sei il peggiore. Non è così. Era difficile gestire questa sconfitta e anche le partite successive. Avremmo dovuto sostenere maggiormente questi giocatori, perché nella scorsa stagione hanno conquistato il primo campionato del Paok dopo così tanti anni, perché ci hanno provato ma in quella serata non è riuscito quasi nulla.

Sì, dall’altra parte penso che il momento più importante sia stato il successo sull’Olympiakos. Il Paok aveva vinto lo scorso campionato da imbattuto e l’Olympiakos voleva eguagliare questo record. Ho detto ai miei giocatori che in Grecia solo una squadra avrebbe potuto battere l’Olympiakos al Karaiskakis. E quell’unica squadra era il Paok. Gli unici giocatori che avrebbero potuto riuscirci erano quelli del Paok. E l’abbiamo fatto. Abbiamo vinto ed è stata una piccola gioia che abbiamo regalato prima a noi stessi e poi ai nostri tifosi.

Cosa ha influito nell’eliminazione contro il Krasnodar? La vendita di Akpom è stata così decisiva?

Abbiamo eliminato il Beşiktaş, una squadra molto abbiente che compra giocatori da qualsiasi parte. Abbiamo eliminato anche il Benfica. Siamo stati eliminati dal Krasnodar. Abbiamo fatto una grande partita in Russia e molte volte sappiamo che il risultato finale è anche una questione di fortuna, anche perché abbiamo fallito un rigore. Ci è mancato un po’ di cinismo. Quel rigore che ci avrebbe dato un’altra sicurezza non ci ha permesso di accedere ai gironi di Champions, cosa che questa squadra non è mai riuscita a fare. Questo ha fatto la differenza. Non abbiamo segnato nelle nostre occasioni, mentre il Krasnodar ha avuto la freddezza necessaria, sfruttando al meglio tutto quello che ha creato e qualificandosi. L’addio di Akpom era scritto. La società aveva bisogno di solfi, Akpom voleva andare via e quindi è successo. È stata una decisione che dovevamo prendere ed è facile criticare a posteriori. Per dirigere una squadra, sia da presidente che da allenatore, devi avere forza, coraggio e personalità per prendere decisioni e conviverci.

Se il Paok avesse strappato il pass per i gironi di Champions League e ti fosse comunque arrivata l’offerta del Palmeiras, saresti rimasto?

Non so cosa sarebbe successo ma giocare in Champions League è come in Libertadores ed è stato uno dei motivi per cui ho accettato l’offerta del Palmeiras. Se ci fossimo qualificati in Champions League, forse sarei anche rimasto al Paok.

Abel Ferreira somiglia di più a José Mourinho o a Pep Guardiola? Mi riferisco a entrambi perché nelle tue ultime interviste hai fatto molti riferimenti a loro…

Abel Ferreira non è né José Mourinho, né Pep Guardiola. È Abel Ferreira. Con i suoi difetti e le sue virtù. Sono un allenatore che sogna di combinare le abilità dei giocatori con le ambizioni della squadra per raggiungere gli obiettivi. Ci sono società che hanno più pazienza di altre. Sono un allenatore che si basa sulla progettualità. Νon stravolgo tutto da un giorno all’altro. Credo nel duro lavoro e vado a dormire con la coscienza pulita. Sono un allenatore che guida, commette errori ma li analizza e li corregge per andare avanti. La vita è piena di momenti positivi e negativi. La strada è lunga e la percorri solo col lavoro e la convinzione in quello che fai.

Qualcuno dice che il Paok probabilmente non può confrontarsi con l’Olympiakos a causa della differenza di budget e di rosa…

Abbiamo visto che nel calcio non esiste l’impossibile. Tutto può succedere. Il Paok ha fatto il double [nel 2018-2019, N.d.T]. L’Olympiakos, quando ha perso il campionato, ha investito molto prendendo un allenatore portoghese, Pedro Martins, che è un ottimo tecnico. Ha comprato molti giocatori e si è notevolmente rafforzato. Non era impossibile. Ora chiedo, ad eccezione dell’Olympiakos, quante squadre in Grecia hanno conquistato due campionati di fila? Impossibile. Ripeto, se il Paok è unito può provare a colpire il suo grande avversario che è l’Olympiakos.

Quali sono i tuoi rapporti con Ivan e Giorgos Savvidis?

Il mio rapporto è stato molto stretto dal primo tempo. Ho imparato molto nelle riunioni con loro. [Ivan Savvidis] è una persona imponente con un grande cuore, che aiuta le persone dentro e fuori dal mondo del calcio. Ho parlato con lui, l’ho ringraziato, gli ho spiegato i motivi per cui sarei dovuto andare al Palmeiras che lottava per la Libertadores, che giocava in Brasile dove parlano la mia stessa lingua. Gli ho chiesto di andare via perché, con tutto il rispetto, il Palmeiras è di un livello superiore al Paok. Il signor Savvidis ha accettato di gran cuore la mia richiesta, visto che il Palmeiras era disposto a pagare. Giorgos ama la squadra, la vive in maniera intensa. È ambizioso come me. Vuole vincere, vuole imparare. Come me. Ero felice ogni volta che parlavamo e vorrei che questo continuasse. Sono grato sia al signor Ivan che a Giorgos. Il Palmeiras ha versato una buona somma al Paok, però se il signor Ivan e Giorgos non volevano, io non me ne sarei andato. Vorrei con questa intervista esprimere pubblicamente la mia gratitudine nei confronti del signor Savvidis. Come diciamo in Portogallo: «la gratitudine è la memoria del cuore». Spero nel futuro di organizzare una cena con le nostre famiglie a casa sua. Mi ha aiutato nel diventare un allenatore migliore.

Con Olaf Rebbe? Tante discussioni sul discorso calciomercato, come ad esempio su chi ha preso la decisione di comprare Čolak, il quale non ha impressionato particolarmente…

Un rapporto fantastico. Dovevamo prendere decisioni difficili. Ho commesso errori in qualche trasferimento che ho fatto o chiesto. Però il mio rapporto con Rebbe è stato fantastico. Il calcio è così, non puoi fare tutto giusto al 100%. Prendi le decisioni e ti assumi le responsabilità. Mi assumo la responsabilità dei trasferimenti mancati ma anche di chi ha giocato bene come Michailidis, Tzolis, Swiderski, Douglas Augusto e Ingason. Penso che se avessimo continuato a lavorare, avremmo costruito la squadra del presente e del futuro. Quindi quello che ci era stato chiesto. Čolak è stato un giocatore che ho chiesto, è vero. Un giocatore che ha segnato 15 gol in Croazia, nel giro della nazionale croata ed è da sottolineare. L’esempio di Čolak ha dimostrato come indossare la maglia del Paok sia davvero difficile. Per indossare questa maglia non devi solo essere un buon giocatore, devi avere la personalità di un campione. La mentalità di un campione, devi lottare in campo. E Čolak non si è ambientato molto velocemente, le aspettative erano alte. Penso che non si sia abituato mentalmente con la pressione di una squadra così grande come il Paok. Poi si è infortunato. […] Quando prendiamo un giocatore, lo facciamo per la squadra. È un giocatore del Paok, non un giocatore di Abel, di Rebbe o di Savvidis. Sono sempre giocatori del Paok, sia quando giocano bene che quando giocano male. Non mi piaceva leggere questo. Quando un nuovo acquisto era bravo, il Paok aveva fatto bene. Quando non giocava bene, era colpa dell’allenatore, di Rebbe, di Maria [Goncharova, membro della società, N.d.T], di Makis [Gkagkatsis, vicepresidente del Paok, N.d.T]. Vorrei anche soffermarmi un attimo sul Financial Fair Play. Mentre l’Olympiakos poteva prendere chiunque e in qualsiasi modo, il Paok doveva muoversi con cautela.

Come descriveresti il tuo rapporto con Pablo García, l’attuale allenatore del Paok?

Lo ammiro molto per quello che ha fatto da giocatore sia in Europa che in particolare al Paok. È normale che i tifosi lo adorino. Nella prima o seconda settimana dopo il mio arrivo, abbiamo avuto un incontro e gli ho chiesto quali fossero i migliori giocatori della Primavera. Mi ha nominato Tzolis, Michailidis, Tsingaras e un altro paio. Non posso dire che ci sentivamo quotidianamente ma un mio collaboratore seguiva le partite della Primavera, parlava con lui. Abbiamo avuto, tuttavia, un rapporto ottimo. Ci confrontavamo soprattutto per i giocatori che sarebbero stati il futuro del Paok. Non dimentichiamoci che Pablo ha conquistato tanti trofei nelle giovanili e approvo la scelta della società che gli ha affidato le chiavi della squadra dopo la mia partenza. Se lo supportano, se lo aiutano, se sono tutti uniti, credo che Pablo possa rappresentare il presente e il futuro del Paok.

Come ti è sembrato l’arbitraggio in Grecia?

Ci sono arbitri bravi e mediocri ovunque. In Portogallo, in Brasile, in Germania, in Francia. Quando la Grecia ha bisogno di portare arbitri stranieri, potete trarre le vostre conclusioni. Non ho visto arbitraggi così scarsi. Quello che intendo è che se una Federazione ricorre agli arbitri stranieri significa che lo stesso campionato non si fida dei propri arbitri. Ciò fa riflettere. Quando abbiamo giocato nei playoff dopo la prima ondata della pandemia, posso dire che in generale mi sono piaciuti gli arbitri greci.

Ritieni che sia stata giusto il gesto di Cristiano Ronaldo di buttare la fascia di capitano anche dopo una decisione così ingiusta?

È difficile da spiegare perché il calcio è un gioco di emozioni. Visto che parliamo di emozioni, mi viene in mente il Toumba. Ti dirò una cosa. Le mie figlie hanno visto dal vivo solamente due partite con me in panchina. La prima quando abbiamo conquistato il campionato nelle giovanili dello Sporting. La seconda contro l’Ajax al Toumba. Era una festa, una pazzia, qualcosa di indescrivibile. Nel caso di Cristiano hanno parlato le emozioni. Ha visto che la palla è entrata, l’assistente non l’ha vista e ha reagito in maniera esagerata. È inaccettabile che a questi livelli questa non sia una rete regolare. Penso che dovremmo dare agli arbitri greci un margine di errore, perché l’arbitro nella partita di Belgrado, l’olandese Makkelie, ha diretto una partita anche in Grecia. Se fosse successo in Grecia, cosa sarebbe accaduto all’arbitro? Siamo persone e commettiamo errori.

Cosa significa per te la Grecia?

La Grecia significa amore, lavoro, dolore, felicità, buon cibo, amicizia. È un Paese bellissimo in cui facilmente andrei a vivere con la mia famiglia.

So che con Pedro Martins siete amici. Parlate ancora tra di voi? Credi che con la rivalità che esiste in Grecia sareste potuti uscire per bere un caffè insieme?

Lo conosco bene. L’ho affrontato molte volte da avversario nel campionato portoghese. Sul campo ha fatto di tutto per battermi, come ho fatto anch’io. Lo rispetto per tutto quello che ha raggiunto. La rivalità c’è, nella scorsa stagione ho provato fino all’ultimo di batterlo al Karaiskakis mentre voleva conquistare il campionato da imbattuto. Non avrei alcun problema nell’uscire con lui per mangiare o bere un vino. Siamo avversari in campo ma prima di tutto uomini. Parlavamo e posso dirti che ci sentivamo quando ero al Paok e lui all’Olympiakos. Ma ognuno dava la vita per difendere la propria squadra. Per il lavoro che sta facendo Pedro cosa posso dire: i fatti parlano da soli. Quando sono arrivato al Paok, era già all’Olympiakos dalla scorsa stagione e non aveva vinto nulla. Era rimasto a zero perché preparava la squadra. Dovrebbe fare da esempio alle squadre greche che cambiano allenatori. Questo è stato il segreto dell’Olympiakos, ossia tenere lo stesso allenatori per tanti anni.

E il Paok. Cosa significa per te il Paok?

Passione, lotta, emozione, dedizione, pazzia. Questo è il Paok, questa è Salonicco. Non so cosa succederà nel futuro, la Grecia è un Paese in cui tornerò per allenare o per passare una stagione perché ho lasciato amici là. Molti nel Paok, ma anche dalle altre squadre. Il periodo che ho passato in Grecia è stato molto proficuo nella mia vita.

Si è sentito di tutto sui rapporti con i tuoi giocatori, come ad esempio con Vieirinha. Qual è stato il calciatore avversario che ti ha fatto maggiormente impressione?

Non vorrei parlare di un giocatore di altre squadre. Vorrei ringraziare tutte le persone che hanno lavorato al Paok, al centro sportivo, dal nutrizionista alla cuoca. Vorrei ringraziare tutti i giocatori e soprattutto i capitani della squadra. Vieirinha, Crespo, Varela, Ingason, El Kaddouri e Schwab, l’ultimo arrivato. Un grande ringraziamento a tutti. Mi trovo lontano ma li seguo. Sono andato in Portogallo qualche tempo fa e ho visto in televisione la partita contro l’Aek. Mi sono dimenticato di parlare di qualcosa, dei tifosi. La loro passione è incredibile. A parte le critiche, ogni tifoso del Paok che mi incontrava per strada mi supportava e mi dava la forza per andare avanti. Mi dicevano sempre che mi appoggiavano. Un grande ringraziamento.

(Si ringrazia l’autore Vasilis Tempelis per l’estrema disponibilità e gentilezza.)

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