Ranieri non è mai stato amato da nessuna parte, forse solamente a Roma. Ha avuto ovunque l’etichetta del “mediocre” addosso, con l’aria di una persona al di sotto delle circostanze, forse perché non è mai stato un calciatore di livello.

Di Zastro, AthleteStories, 20/10/2021
Traduzione di Enzo Navarra

Ranieri non è mai stato amato da nessuna parte, forse solamente a Roma. Ha avuto ovunque l’etichetta del “mediocre” addosso, con l’aria di una persona al di sotto delle circostanze, forse perché non è mai stato un calciatore di livello.

Comincia la carriera da attaccante nel Dodicesimo Giallorosso, una squadra satellite della Roma. Notato da Helenio Herrera, approda nelle giovanili dei giallorossi quando è già adulto. A vent’anni gioca nella Roma e, dopo quattro anni e altrettante presenze in prima squadra, viene ceduto al Catanzaro.

Ha già cambiato ruolo, visto che da attaccante non segnava praticamente mai. Antonio Trebiciani, leggendario allenatore della Primavera della Roma, lo aveva trasformato in terzino per sfruttare la velocità, l’unica qualità che lo faceva distinguere dagli altri. In quel ruolo scriverà le più importanti pagine della sua carriera nel Mezzogiorno, in Calabria, nella culla della Magna Grecia.

Otto anni [dal 1974 al 1982, N.d.T] al Nicola Ceravolo, lo stadio comunale di Catanzaro, una città di 80.000 abitanti che ai tempi lottava contro la povertà e l’omertà. Sono anni molto difficili nell’Italia meridionale, con la mafia che mostra il suo volto più crudele, assassinando magistrati, politici, uomini di chiesa, poliziotti, semplici cittadini.

Con il suo spirito di adattamento, Claudio non ha problemi, è l’onesto lavoratore della squadra, il “ragazzo della Capitale” che non ha snobbato il povero Sud e non ha cercato di scappare appena arrivato nella città di Renato Dulbecco – ai tempi Premio Nobel per la medicina.

Questo era Ranieri da ragazzo: si concentrava sempre sugli aspetti positivi di una relazione, sia professionale che personale, ed era una di quelle persone che spesso fingeva di non vedere e di non sentire, di quei vicini di casa che ti salutano sempre ma non conosci nulla di loro non perché hanno una doppia vita, ma semplicemente perché la loro vita è normale, piatta, senza fuochi d’artificio.

Nel Catanzaro totalizza 225 presenze in otto anni, segnando anche otto reti, diventando il recordman di presenze della squadra calabrese in Serie A dal 1976 al 1982.

Ha già 31 anni quando torna in Serie B, a qualche chilometro di distanza, a Catania. Sempre nel Sud che lo capisce meglio e apprezza il suo carattere.

Gianni Di Marzio lo ha spostato nel ruolo di libero, perché la velocità e l’esplosività sono andate via con l’età. Festeggia la promozione in Serie A ma non è più un titolare. Concluderà la propria carriera a Palermo, in Sicilia, nel 1986 all’età di 35 anni.

Non è stata fatta alcuna festa per il suo ritiro dal calcio giocato e non manca quasi a nessuno dato che la sua carriera si può sintetizzare così: «onesto difensore e bravo ragazzo».

Ben presto vuole fare l’allenatore: desidera lavorare psicologicamente sull’avversario, avere le redini e lasciare il palcoscenico ai più estroversi. Torna nella sua Catanzaro e comincia ad allenare nella Vigor, una squadra dilettantistica di Lamezia Terme, nella città delle Terme di Caronte. Campo in terra battuta in un ambiente di sinistra povera e piena di pastori e contadini calabresi.

Non si occupano molto di calcio in zona, ma il bonario e ambizioso Ranieri riesce nel miracolo di portare la Vigor Lamezia dall’Interregionale in Serie C2. […] [A causa di contrasti con la società, Ranieri si dimette dopo 12 giornate da imbattuto. La Vigor arriverà prima nel Girone I del Campionato Interregionale 1986/1987, N.d.T].

Claudio saluta tutti e si dirige a Pozzuoli, nella locale Puteolana che è stata rifondata dopo problemi economici. Tutti gli danno del pazzo, la Campania non è come la Calabria […]. Ranieri sorride, come sempre, e dichiara che «troverà un modo per cavarsela».

È nato così, non ha mai avuto paura delle difficoltà. Una delle figure più flessibili nel mondo del calcio, una persona che crede nel compromesso come soluzione migliore, un allenatore che «non dà fastidio». Guarda solo il proprio lavoro e cerca sempre di prendere una posizione da Ponzio Pilato, in modo tale da non scontentare nessuno.

Gli amici lo considerano un ragazzo d’oro, per i nemici è un arrivista. La verità sta nel mezzo.

Ogni lunedì, prima dell’allenamento, si ferma in edicola, compra tutti i giornali sportivi, legge le pagelle dei suoi giocatori e le commenta, giocando con la mente dei suoi giocatori. «Hai preso 4! Davvero ti sta ridicolizzando un giornalista locale?» ha detto al 16enne Antonio Gatto, portato proprio da lui in prima squadra a Lamezia Terme. Il giovane si mette a piangere e Claudio ci passa sopra, dicendogli che deve maturare presto se vuole giocare a calcio. Aveva spesso questi momenti, soprattutto all’inizio della sua carriera.

Nel 1988 arriva una grande squadra a bussargli la porta. È il glorioso Cagliari. La sua avventura al Sant’Elia è il primo successo professionale, il suo primo “Leicester”. Prende la squadra a pezzi in terza divisione e la accompagna trionfalmente in Serie A. La favola di Ranieri in Sardegna è commovente, perché parliamo di una forza tradizionale del campionato, della squadra di Gigi Riva, uno dei più forti calciatori italiani di tutti i tempi.

Non solo ha fatto il doppio salto di categoria ma riesce anche ad ottenere la salvezza in Serie A [nel 1990/1991, N.d.T], nonostante fosse ultimo fino alla 22° giornata. Ancora oggi, e lo penso anche dopo il campionato col Leicester, credo che il triennio a Cagliari sia stato il più grande successo della carriera di Claudio.

Le porte del calcio che conta si sono già aperte per Ranieri, che è un tecnico moderno e ha come biglietto da visita l’esperienza positiva in Sardegna. All’età di 40 anni arriva l’offerta di Corrado Ferlaino per il grande Napoli che non può rifiutare.

Claudio, come sempre col sorriso, dichiara chiuso il suo ciclo al Sant’Elia, esprimendo la volontà di allenare in una grande piazza, in una squadra con molti tifosi, obiettivi ambiziosi e l’attenzione dei media. Già ai tempi cominciano i suoi buoni rapporti con la stampa. Credeva e crede che per un allenatore sia necessario mantenere le relazioni pubbliche con tutto l’ambiente che circonda il calcio.

Nel Napoli passa dallo zenit al nadir. Viene chiamato a gestire una squadra che aveva appena perso Diego, cercando di ricostruire i pezzi che erano rimasti. Un’impresa molto difficile, nonostante Alemão e Careca siano ancora presenti in una rosa rafforzata con Laurent Blanc e Padovano. Insieme a Maradona è andato via anche l’arcinoto Luciano Moggi, l’uomo che ha vinto il campionato con Alberto Bigon in panchina. Sì, lo stesso Bigon che abbiamo visto anche in Grecia ed è stato cacciato in malo modo dall’Olympiakos.

Nella prima stagione al Napoli, con il grande alibi dell’addio di Diego e una città intera che lo rimpiange ogni giorno, Ranieri centra il quarto posto, dietro al Milan di Sacchi, la Juventus e il Torino – che ha preso Moggi ed è subito arrivato terzo. Rinnova il suo contratto ma con Ferlaino i rapporti non sono mai idilliaci, dato che il presidente lo considera uno che sapeva fare solo i fondamentali e nient’altro.

Tuttavia, Ranieri fa un grande favore ai partenopei: schiera regolarmente Gianfranco Zola titolare, rendendolo un sostituto di Maradona al San Paolo, per quanto possa risultare sacrilego questo parallelismo. Il solo Zola non basta nella sua seconda stagione, dove Ranieri regge solamente nove giornate. Le cinque sconfitte in campionato, soprattutto l’ultima con un poker subito dal Milan degli olandesi, e l’eliminazione dalla Coppa Uefa per mano del PSG sono risultate fatali. Ferlaino accusa Ranieri di una gestione disastrosa con acquisti deludenti come Laurent Blanc.

Claudio non tornerà più al sud e, dopo un semestre a Roma da opinionista nelle tv locali, arriva la chiamata di una Fiorentina appena retrocessa in Serie B, pronta a rinascere. L’allenatore romano parla subito di un “progetto” per una rapida promozione in Serie A. […]

A Firenze lo aspetta il vulcanico Vittorio Cecchi Gori che ha un budget da Serie A e gli dà il via libera di promuovere in prima squadra giovani come Francesco Toldo in porta e gli attaccanti Anselmo Robbiati e Francesco Flachi.

I Viola, dopo 55 anni in Serie B, conquistano subito la promozione in Serie A. Non potevano non tornare nel massimo campionato con giocatori come Batistuta ed Effenberg. Un campionato semplicemente dominato con un calcio offensivo, con Ranieri che lasciava giocare liberamente le proprie stelle. Solo che in Serie A, dove le difese regnavano, il talento non bastava.

La Fiorentina nella stagione successiva [nel 1994/1995, N.d.T] lotta per sfuggire dal fondo della classifica, Márcio Santos e Rui Costa – altri due acquisti pazzi di Cecchi Gori – faticano ad ambientarsi e si riavvicina lo spettro dell’esonero per Ranieri. Parlerà col presidente, già produttore cinematografico e proprietario di una rete televisiva, e darà la colpa all’inadeguatezza atletica della maggior parte dei giocatori.

Cecchi Gori gli concede così una seconda opportunità. La Fiorentina termina il campionato al 10° posto, Batistuta sarà il capocannoniere della Serie A con 26 reti e ci sono ampi margini di miglioramento. In estate non si cambia molto e Ranieri pone l’obiettivo di raggiungere l’Europa. E avrà ragione.

Dopo una stagione eccezionale [nel 1995/1996, N.d.T] arriva al terzo posto – ex aequo con la Lazio – e conquista soprattutto la Coppa Italia, il primo trofeo dopo 21 anni. Firenze torna in Europa e Ranieri punterà molto sulla Coppa delle Coppe in una stagione non proprio esaltante in patria, nonostante la vittoria della Supercoppa Italiana in estate contro il Milan con una doppietta da urlo di Batistuta.

Claudio chiama i fiorentini a sostenere la squadra in Europa, mentre in campionato naviga a metà classifica. Nel primo turno elimina di misura, non senza difficoltà, i romeni del Gloria Bistrita. Passa gli ottavi con lo Sparta Praga e i quarti col Benfica sempre con una rete di scarto. La semifinale contro il Barcellona di Ronaldo è un grande evento per la città. I Viola tornano dalla Catalogna con l’1-1: da outsider a favoriti per la qualificazione in finale. Purtroppo, perdono al Franchi, con Robson che ingabbia Ranieri e il Barcellona che vince agilmente 0-2.

A Cecchi Gori non piace questa Fiorentina altalenante e decide di chiudere il rapporto con Ranieri a fine stagione. Il signor Claudio, con l’1-1 al Camp Nou, riesce comunque a farsi un nome in Spagna.

Così, dopo un’estate da disoccupato, accetta subito l’offerta del Valencia che ha appena esonerato Valdano dopo tre sconfitte nelle prime tre giornate. Dopo un nono posto in campionato, accede in Coppa Uefa tramite l’Intertoto e ha l’opportunità di costruire la «propria squadra», come chiede alla dirigenza.

Libera mentalmente i propri giocatori e conferma nuovamente il fatto di essere un caso unico di allenatore-psicologo, un uomo che applica un velo di tranquillità sulla squadra.

Il Valencia effettivamente disputa una stagione fantastica [nel 1998/1999, N.d.T]: eliminato dal Liverpool ai sedicesimi di Coppa Uefa, conquista il quarto posto utile per la Champions League e solleva la Coppa del Re dominando sull’Atletico Madrid con un netto 3-0. Questa vittoria lo porta proprio all’Atletico nella stagione successiva, poco prima di compiere 50 anni.

L’avventura a Madrid è catastrofica, con i Colchoneros che lottano per la retrocessione e il presidentissimo Jesús Gil non tarda ad esonerarlo quando viene eliminato in Coppa Uefa dal Lens.

Rimane di nuovo disoccupato ma ben consapevole che la sua reputazione è molto buona e che ha la possibilità di scegliere la prossima destinazione.

Nel settembre del 2000 lo chiama il Chelsea e si tratta del suo primo punto di contatto col calcio inglese. È l’ultimo allenatore dell’era pre-Abramovich, l’uomo con cui il Chelsea si “italianizza” totalmente dopo l’esperienza di Gianluca Vialli in Inghilterra. Nel giugno del 2003 Ken Bates batte tutti i record e vende la società per 140 milioni di sterline al magnate russo Roman Abramovich, con Ranieri che diventa anche il primo allenatore della nuova era.

In 199 partite centra una semifinale di Champions League e un secondo posto in Premiership, obiettivi raggiunti entrambi nel 2003/2004: non si può considerare negativo il suo passaggio dai Blues. Non sboccia però il feeling con Abramovich, perché il russo vuole il meglio per la panchina della sua squadra. E in quel periodo l’intera Europa va dietro a José Mourinho. Ranieri viene esonerato ma lascia da amico, nonostante questo brusco allontanamento.

L’italiano è un nome ambito nel mercato europeo, con un ingaggio alto e ormai fa parte dell’élite degli allenatori.

La scelta di tornare a Valencia nel giugno del 2004, sostituendo il vincente Rafa Benitez, si rivela controproducente, confermando il motto della sua carriera ormai da alti e bassi. Mantiene il posto per un semestre scarso in Spagna, con l’eliminazione dallo Steaua in Coppa UEFA che è difficile da digerire e viene esonerato [nel febbraio del 2005, N.d.T]. È la prima volta in carriera in cui riceve più critiche che complimenti.

Alcuni credono che sia un allenatore superato, altri parlano di un tecnico mediocre, mentre i più moderati ritengono che sia un buon allenatore ma che può vincere solo se si allineano i pianeti. I più cinici lo bollano come un allenatore mediocre e sopravvalutato.

Viene supportato solo in patria ma preferisce ricevere l’ingaggio del Valencia – costretto a pagargli lo stipendio fino alla fine del contratto triennale – che accettare dei lavori di poco conto in Italia. Passeranno due anni prima di rivederlo in panchina.

Dopo un decennio torna in Italia, chiamato da Tommaso Ghirardi nel febbraio del 2007 per prendere il posto di Stefano Pioli al Parma. Ritrova i vecchi amici, ha l’aria del tecnico “europeo” in un campionato italiano decimato da Calciopoli che prova a rimettersi in piedi. Ranieri ritorna subito ad essere il vecchio caro Claudio, tanto che nel giugno del 2007 lascia i parmensi all’improvviso per andare ad accasarsi alla Juventus, perché «è impossibile dire di no alla Juve».

Prende il posto di Didier Deschamps ed è il volto del ritorno dei bianconeri in Serie A. Dopo un terzo posto in campionato [nel 2007/2008, N.d.T], elimina l’Artmedia Bratislava e torna con la Juventus in Champions League. Batte due volte il Real Madrid, vince contro il Milan e la Roma ma la squadra va a singhiozzo. Dopo sei pareggi e una sconfitta in sette partite, anche su pressione dei tifosi, la dirigenza bianconera lo esonera a due giornate dalla fine [nel 2008/2009, N.d.T] per non perdere il secondo posto. È la prima volta che lascia una squadra con un sorriso amaro.

Il suo nome conta ancora, soprattutto in una Roma che ha una costante voglia di rivalsa nei confronti della Juventus. Dopo le dimissioni di Spalletti a seguito di due sconfitte nelle prime due giornate, Claudio è in pole position. E infatti rileva la Roma, con l’obiettivo di vincere lo Scudetto e “despallettizzare” la squadra.

La sua esperienza alla Roma l’ho seguita meglio di tutte le precedenti.

I tifosi inizialmente amano Ranieri ma ben presto sentono la mancanza del gioco di Spalletti. Rimane quasi un biennio, è osannato dalla stampa quando sostituisce i due totem Totti e De Rossi ma i risultati della squadra erano – come sempre – altalenanti.

Vittoria nel derby contro la Lazio ed eliminazione in Coppa Uefa dal Panathinaikos subendo sei reti e perdendo entrambe le partite. Arriva sempre vicino all’obiettivo ma non vince nulla. […] Termina con 80 punti in classifica [un record per la Roma, N.d.A] ma perde un campionato che non si poteva perdere [nella stagione 2009/2010, vinto dall’Inter di Mourinho, N.d.T]

Viene esonerato [nel febbraio del 2011, N.d.T] dopo l’incredibile sconfitta per 4-3 contro il Genoa a Marassi: vinceva 0-3 all’intervallo ed è riuscito a perdere in un modo incredibile. Ha perso il controllo dello spogliatoio, guarda maggiormente alla propria immagine pubblica: dà l’impressione di essere più un commentatore che un allenatore.

Rileva l’Inter nel settembre del 2011 per sostituire Gasperini ma non va molto bene, dato che nel marzo del 2012 prende il suo posto Andrea Stramaccioni, l’allenatore che ha quasi distrutto il Panathinaikos.

La sua stella comincia a non brillare più, in Italia non c’è più posto per lui. Fino ad un incontro tra Roman Abramovič e Dmitrij Rybolovlev che porta Ranieri al Principato di Monaco. All’età di 61 anni e con l’aria da cosmopolita, viene chiamato a portare il miliardario Monaco in Ligue 1.

È un ambiente adatto a lui. Totale assenza di pressioni, atmosfera stellare, un campionato di secondo piano in Europa. [Dopo la promozione nel 2012/2013, N.d.T] Il Monaco, nonostante gli acquisti scintillanti del magnate russo, non può lottare alla pari col Paris SG. Una stagione né troppo brutta né troppo buona. Viene esonerato un anno prima della fine del contratto, con l’etichetta dell’indifferente e di un allenatore ormai superato.

E a questo punto cominciano ad allinearsi i pianeti…

Nel luglio del 2014 Giorgos Sarris, l’allora presidente della Federcalcio greca, presenta il 63enne Claudio Ranieri al pubblico ellenico. Viene chiamato a guidare una Nazionale che ha imparato a rispettare le regole del padre padrone Fernando Santos.

La goccia che fa traboccare il vaso della sua presenza sulla panchina della Nazionale greca è stata la sconfitta contro le Isole Faroe al Karaiskakis [venendo esonerato dopo meno di quattro mesi, N.d.T]. In Grecia gli sono state addossate delle colpe, giustamente o meno, poiché faceva quello che sapeva fare meglio: «mantenere gli equilibri».

La vita, tuttavia, gioca spesso degli strani scherzi. Lo stesso approccio che in Grecia è stato aspramente criticato, al King Power Stadium di Leicester è diventato quasi come il Vangelo.

Ranieri prende in mano una rosa che ha come obiettivo la salvezza. Per una settimana non parla ai giocatori: devono solo dimostrare quello di cui sono capaci. Un allenatore che punta sull’aspetto mentale sbarca in una squadra in cui ogni giocatore ha una storia a sé e bisognosa di un gestore.

Claudio è l’uomo giusto nel posto giusto nel momento giusto. Se questo non è una congiunzione astrale… Tutti sono rimasti estasiati dalla “favola” del Leicester che vince il campionato. Attenzione, non fa alcuna magia, non inventa qualcosa di nuovo tatticamente.

È la stessa persona che si sedeva sulla panchina in metallo a Lamezia Terme, un uomo calmo, mite, sorridente, un mediocre che approfitta dei difetti e dei pregi di chi gli sta intorno. E si tratta di un clamoroso talento, di un’abilità di usare un approccio zen per affrontare qualsiasi situazione in modo tale da raggiungere il proprio obiettivo.

Ranieri sarà per sempre l’allenatore che a 65 anni conquista inaspettatamente una Premier League con una squadra di “operai”. E l’ha fatto proprio un giorno dopo la Festa dei Lavoratori: una squadra di operai che vince un trofeo che si rivolge, ormai, all’élite. È stata una lezione anche per lo stesso allenatore, che ad un certo punto della sua carriera considerava sé stesso come membro di questa élite.

Il Ponzio Pilato del calcio è diventato re d’Inghilterra, il suo nome ha fatto il giro del mondo e tutto questo senza fare nulla. O forse ha fatto qualcosa.

Ha creduto nelle potenzialità e nella voglia di rivalsa di ogni giocatore. Così è stato raggiunto un trofeo incredibile per il Leicester e così deve rimanere nella storia.

Qualsiasi altro allenatore avrebbe lasciato il proprio posto dopo un miracolo del genere. Ma è rimasto e ha vissuto anche la sua cacciata dal trono. È stato esonerato piuttosto presto, cosa che dimostra quanto gli inglesi abbiano tenuto in considerazione l’italiano nella favola del Leicester.

Claudio, ormai prossimo alla pensione, trova lavoro al Nantes, in Francia, ma i risultati non sono molto positivi. Nel novembre del 2018, dopo un periodo di inattività, prende temporaneamente il posto di Slaviša Jokanović al Fulham, nella sua amata Premier, ma l’avventura non è delle migliori. 

Torna in patria per mascherare l’impossibilità della dirigenza della Roma nel sostenere l’esperimento Di Francesco. Questo può anche essere un finale di carriera coi fiocchi, ma Claudio si considera ancora sulla cresta dell’onda. Quando la società giallorossa non gli rinnova il contratto, lascia nuovamente col sorriso e i rapporti con Roma rimangono intatti.

Nell’ottobre del 2019 firma un biennale con la Sampdoria ed è una sorpresa per i non addetti ai lavori. Rimane quasi due anni a Marassi: nella prima stagione salva all’ultimo i blucerchiati, mentre nella seconda arriva ad un onesto nono posto. Un campionato tranquillo che gli dà tutto il diritto di chiedere un rinnovo ma la dirigenza dei genovesi non glielo offre e quindi il buon Claudio annuncia il suo addio. Sempre «da amico», lasciando tuttavia il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto, a seconda dei punti di vista.

Torna di nuovo in Inghilterra nell’ottobre del 2021. Il suo nome in Inghilterra ha ancora un certo peso e viene chiamato a sostituire Xisco Muñoz al Watford, in modo da centrare la salvezza. Si presenta sorridente ai giornalisti, parla per un’oretta senza dire nulla. Sembra più un uomo che porta una ventata di energia positiva che un allenatore pronto a rilevare una missione impossibile.

Questo è Ranieri. Un uomo bonario, leggermente pieno di sé e desideroso di nuove avventure anche nell’ultima fase della sua carriera. Si è reso conto ormai che una carriera ha aspetti negativi e positivi, capendo ben presto che la vita sarebbe molto difficile se fosse piena di innovatori e geni.

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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