di Oleg Lysenko

Championat.com, 15/10/2021

Traduzione di Andrea Passannante

Nell’ultima selezione giovanile vincente dell’Urss, Jevhen Pochlebaev era uno dei leader e pure rigorista. Il Cska Mosca era pronto ad acquistarlo insieme all’amico Konovalov, ma Jevhen da Poltava sognava di giocare a Kiev. Un sogno d’infanzia che si è realizzato, anche se Pochlebaev non ha avuto l’opportunità di essere allenato dal grande Lobanovskij. Pochlebaev avrebbe potuto, avrebbe dovuto essere in quella Dinamo Kiev dei miracoli che ha battuto Barcellona, Arsenal e Real Madrid in Coppa dei Campioni. Ma un pesante infortunio lo ha privato di più di sei mesi di carriera e una malattia rara lo ha reso invalido. A 26 anni, nel pieno della sua carriera, questo calciatore talentuoso ha perso la memoria…

A 16 anni, Pochlebaev ha debuttato nella massima divisione dell’Urss, a 18 anni è diventato campione d’Europa a livello giovanile (segnando un rigore in finale)

Nel tardo periodo del calcio sovietico, poche squadre potevano competere con i club delle due più grandi città: Mosca e Kiev. Ma il Dnipro alla fine degli anni Ottanta era una vera forza. Per tre anni di fila l’allenatore Kučerev’skij, con il supporto della Yuzhmash, azienda specializzata nel settore aerospaziale, ha portato la squadra in vetta al campionato: rispettivamente al secondo posto, al primo posto e al secondo posto.

Pochlebaev aveva solo 16 anni quando il Dnipro è diventato campione per la seconda e ultima volta, ma ha arricchito la sua stagione trionfale in circostanze insolite. Dopo aver vinto in anticipo il titolo, Kučerev’skij ha portato la squadra a un torneo in Marocco per guadagnare soldi. Per finire il Campionato dell’Urss ha schierato dei sostituti, supportati da un paio di calciatori esperti. Con una grande prova di maturità, ha inchiodato la Dinamo Minsk in casa con il punteggio di 4 a 3 in una partita ballerina. Pochlebaev ha letteralmente divorato l’erba per tutti i 90 minuti allo stadio Meteor. Il tutto a 16 anni.

Nella stagione successiva, il ragazzo è rimasto, come prevedibile, una riserva ed è stato lanciato solo una volta come titolare. Eppure brillava già nelle selezioni giovanili. Al Campionato europeo under 18 in Ungheria, il Dnipro aveva inviato un duo formidabile: Pochlebaev e Mamčur (quest’ultimo, futuro calciatore del Cska Mosca, avrebbe dovuto affrontare un destino ancora più crudele, morendo a 25 anni). Tornarono entrambi al loro club con una medaglia. Una medaglia d’oro.

Nel percorso verso la vittoria, la selezione di Gennadij Kostylev, formata principalmente da calciatori russi e ucraini, ha disintegrato Svezia e Inghilterra. Nella finale contro il Portogallo, che poteva contare su Luis Figo, futura stella del Real Madrid e del Barcellona, c’era in campo Aleksandr Pomazun, padre dell’ex portiere dell’Ural. Pomazun parò tutti i tiri che arrivarono verso la porta sovietica. Per i nostri fu particolarmente difficile resistere dopo l’espulsione di Bušmanov. Ma ci riuscirono. E nella serie di rigori, segnarono quattro volte su quattro. Proprio Pochlebaev, subentrato a inizio ripresa al posto di Guščin [che giocava nel Cska Mosca, N.d.A], si presentò per primo sul dischetto. La Patria onorò i vincitori del Campionato europeo con il titolo di Maestri dello Sport dell’Urss, a quei tempi uno degli onori di maggiore importanza.

L’anno successivo alla vittoria nel torneo continentale giovanile, i ragazzi di Kostylev hanno aggiunto il bronzo della Coppa del mondo di categoria. L’attaccante Ščerbakov ha vinto la Scarpa d’oro come capocannoniere del torneo. In semifinale, il Brasile è stato oggettivamente più forte. Nella finale per il terzo posto, i nostri hanno distrutto l’Australia, grazie a una formula ormai collaudata: quella dei rigori. Pochlebaev si è offerto di nuovo di battere per primo e ha sbagliato. I compagni hanno corretto l’errore di Pochlebaev: i cinque tentativi successivi sono stati trasformati in modo impeccabile.

Il titolo mancato con il Dnipro

Ironicamente Jevhen è diventato fondamentale nel proprio club subito dopo il crollo dell’Unione Sovietica. Kučerev’skij andò in Tunisia a guadagnare soldi e Nikolaj Pavlov, che lo ha poi sostituito, ha coraggiosamente lanciato diversi calciatori cresciuti nel settore giovanile. Aspetto che valse alla squadra il soprannome di “asilo di Pavlov”. Quel Dnipro era povero dal punto di vista economico, ma deliziosamente impertinente. Naturalmente, i migliori talenti sono stati poi acquistati da altre squadre. Ma prima di separarsi e andare in squadre più stabili economicamente, hanno dato vita a una lotta straordinaria con la Dinamo Kiev.

Considerando i principali indicatori – punti, vittorie, pareggi e sconfitte – le squadre si sono ritrovate in parità. A essere onesti, i due club avrebbero dovuto disputare uno spareggio, ma i redattori del regolamento non lo hanno concesso. Ci sono due opzioni: non hanno preso in considerazione un tale epilogo oppure hanno totalmente dimenticato questa eventualità. Il titolo è stato assegnato alla Dinamo per la differenza reti. Il Dnipro è rimasto terribilmente offeso da questa situazione.

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Lobanovskij è tornato a Kiev sei mesi prima della malattia di Pochlebaev. Ma con lui, Jevhen non ha giocato un minuto

Il primo a seguire la rotta Dnepropetrovsk-Kiev è stato Michailenko [lo stesso centrocampista riccioluto che ha sbagliato un rigore in una partita epica tra Dinamo Kiev e Spartak in Coppa dei Campioni nel 1994, N.d.A]. Bezhenar, Maksimov, Pochlebaev e Konovalov sono stati acquistati un po’ più tardi dalla Dinamo Kiev, quasi a prezzo di saldo.

A Kiev, Pochlebaev ha ottenuto ciò che gli mancava nel Dnipro: i trofei. Ha vinto due volte il Campionato ucraino, una volta la Coppa nazionale. Ma il finale di questa storia si è rivelato incredibilmente triste. Mentre Valerij Lobanovskij è tornato nella squadra di riferimento della sua vita [la Dinamo Kiev, N.d.T], Pochlebaev si stava riprendendo da una difficile operazione inguinale. Entro l’estate del 1997 è guarito, ha iniziato a riprendere forma e a segnare con la seconda squadra della Dinamo Kiev [Dinamo 2, N.d.T]: quattro gol in tre partite.

Ma all’improvviso si è interrotto tutto: sia la sua carriera da calciatore che la sua vita precedente.

L’11 agosto 1997, Pochlebaev ha giocato un’ora di partita con la seconda squadra della Dinamo Kiev, nella città mineraria di Roven’ki. Ha segnato un altro gol e il giorno dopo, tornando da una passeggiata con il figlio Miša, ha perso conoscenza. Le prime diagnosi, polmonite o tumore al cervello, non sono state confermate. Solo la terza si è rivelata veritiera: encefalite erpetica in condizioni di una significativa diminuzione dell’immunità. Per una settimana in terapia intensiva, questo giovane atleta in piene forze ha completamente perso la memoria…

Focus: encefalite erpetica

L’encefalite erpetica è una malattia infettiva acuta causata dal virus dell’herpes. È caratterizzata da gravi danni cerebrali e al sistema nervoso. Inizialmente la malattia si manifesta in maniera acuta e prosegue pesantemente. Spesso porta alla demenza [si parla di demenza acquisita, N.d.A].

«Nessuno conosce i dettagli» afferma Nikolaj Pavlov, ex allenatore del Dnipro. «Io non c’ero, tutte le informazioni che avevo erano tratte dalla stampa, erano solo voci. Sembrava fosse malato, infortunato dopo la partita con la seconda squadra. Sembrava non si fosse riscaldato a dovere e si fosse infortunato… peccato che il destino sia andato così. Non ho dubbi: Ženka avrebbe giocato titolare con Lobanovskij. Valerij Vasil’evič amava questi giocatori veloci ed efficienti. Fin da giovane, il soprannome di Ženka era “il contadino”. Un tipo grosso e largo. Eppure era incredibilmente veloce, sapeva dribblare e calciare benissimo. E allo stesso tempo era un ragazzo molto onesto, modesto e coscienzioso.

Dopo quello che è successo, la moglie e il bambino hanno lasciato Ženka [Pochlebaev, N.d..T]. La mamma anziana si è fatta carico di tutto. Una volta ci siamo incontrati in una partita di veterani nel Dnipro. Si è avvicinata e mi ha detto: «Inizialmente, ho sospettato di lei [riferito a Pavlov, N.d.T]: se lei non fosse andata alla Dinamo Kiev, allora anche mio figlio sarebbe rimasto e non sarebbe successo nulla. Questo mi ha tormentato a lungo. Ma poi ho capito che non era colpa sua. Le circostanze si sono sviluppate così per caso». E il mio cuore si è tranquillizzato.

Quando lavoravo a Poltava, lui e sua madre sono venuti al nostro campo di allenamento. Abbiamo organizzato una partita di veterani, l’ho persino fatto entrare in campo. Ženka si è avvicinato a me gioioso: «Petrovič, il mio peso è nella norma!». Mi sono ricordato di quanto fosse scrupoloso su questo tema. Stando a quello che dice sua madre, anche dopo che si è ammalato, continua a pesarsi ogni giorno. Ripete: «Oggi misurerò il peso, Petrovič mi controllerà». Oppure mette fretta ai suoi parenti: «Non essere in ritardo, o Petrovič ti penalizzerà». Ženja ricorda solo di essere stato un calciatore. Il resto è andato a pezzi. È stato davvero difficile sentirlo e vederlo in quelle condizioni. I miei ex calciatori sono come i miei figli…»

Mentre Jevhen era in ospedale, è morto il suo figlio più piccolo

Sergei Konovalov è più di un ex compagno di squadra per Jevhen Pochlebaev. È un connazionale e un amico intimo. Tutto ciò si percepisce, e oggi, dopo 24 anni, fa male a ricordare quello che è successo nell’agosto del 1997.

«Sono andato a giocare in Corea, ma ci siamo sentiti al telefono. Sapevo che aveva fatto un intervento chirurgico all’inguine e che voleva tornare il prima possibile. Con Lobanovskij tutti cercavano di dare il massimo e dimostrare le proprie qualità: da Shevchenko a Khatskevič, da Belkevič a Gusin. Nella seconda squadra, Ženka stava recuperando la forma. Prima di giocare a Roven’ki, non si era sentito bene. Ma nessuno ha confessato questo dettaglio, è andato in campo con la febbre e ha segnato un gol. E sull’aereo di ritorno stava molto male. La febbre è aumentata. Ha avuto il primo attacco a casa. È svenuto. Qualsiasi cosa facessero i medici, le sue condizioni peggioravano. Una diagnosi sbagliata, poi un’altra… hanno perso tempo.

La vita è stata salvata, ma più della metà delle cellule cerebrali sono morte in quel momento. Nello stesso periodo, in famiglia è accaduto un altro dolore: è morto il bambino piccolo, il più giovane… Quando sono arrivato a casa in vacanza, mi ha chiamato Ihor Surkis, il presidente della Dinamo Kiev: «Ha smesso di riconoscere anche i suoi parenti. Forse riesce a riconoscerti». L’ho incontrato. Quando ci siamo visti, Ženja ha fatto finta di riconoscermi, ma dal suo comportamento ho capito che difficilmente era così. Vivevamo nello stesso ingresso. Mi fidavo di lui per portare mia figlia all’asilo o mio figlio a scuola a 200 metri da casa. Le loro insegnanti lo conoscevano. Lentamente ha iniziato a tornare in vita, conosce il mio nome e riconosce i miei figli. Ma la memoria, sfortunatamente, non è mai tornata. A volte capita che faccia una domanda e un minuto dopo la ripeta: «Sereža, chi è questa persona? Forse me la ricordo, ma non so come».

Il 25 novembre Jevhen Pochlebaev compirà 50 anni. Ed è come se metà della sua vita fosse sommersa da una nebbia.

(Per la traslitterazione dei nomi propri dall’alfabeto cirillico a quello latino è stato adottato il sistema scientifico. Si ringraziano l’autore e la testata Championat.com per la cortesia e la disponibilità)

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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