di Oluwashina Okeleji, New Frame, 07/12/2020

(https://www.newframe.com/papa-diop-senegals-reluctant-hero/)

Traduzione di Alex Čizmić

L’imponente centrocampista che ha stupito la Francia nella Coppa del Mondo del 2002 è stato descritto come un gigante buono che con le sue imprese ha messo i “Leoni di Teranga” sulla mappa del calcio.

La notizia della morte di Papa Bouba Diop all’età di 42 anni è stata un ulteriore colpo per una comunità calcistica ancora scossa dalla morte di Diego Maradona.

Ci sono pochi paralleli che si possono tracciare tra i due calciatori. Maradona era un virtuoso estroverso, che manifestava regolarmente l’inverosimile e trasmetteva un’energia elettrica in qualunque spazio entrasse. Diop era l’opposto: discreto, schivo fino al senso di colpa, un ragazzo con cui era molto piacevole passare del tempo insieme. 

Tuttavia, tra loro esiste un legame sottile in quanto entrambi – in modi molto diversi – hanno preso parte a celebri partite di apertura di una Coppa del Mondo che hanno visto una nazionale africana rovesciare i pronostici. Mentre il maestro argentino ha potuto solo guardare mentre François Omam-Biyik saliva in cielo per superare Nery Pumpido nella vittoria del Camerun nel 1990, dodici anni più tardi Diop era al centro dell’attacco del Senegal e si avventava sul pallone per segnare e sconfiggere i campioni del mondo e d’Europa in carica della Francia.

È un gol che ha finito per definire la carriera di un uomo che sarebbe diventato affettuosamente “l’Armadio”, in riferimento alla sua notevole struttura fisica da circa 195 cm. Nonostante abbia giocato in Premier League, vincendo la FA Cup con il Portsmouth e segnando contro i giganti del Chelsea e del Manchester United due bolidi memorabili, è a quel momento a Seoul che Diop è indissolubilmente legato.

È abbastanza facile capire il perché. Per prima cosa, bisogna considerare l’enorme portata della Coppa del Mondo e l’influenza che esercita su miliardi di persone in tutto il mondo. «Segnare in una Coppa del Mondo non capita a tutti», mi disse Diop nell’estate del 2014 nella stazione ferroviaria più trafficata d’Europa, la Gare du Nord di Parigi. «Ma è successo a me e quel momento speciale rimarrà con me finché non esalerò il mio ultimo respiro. Nel momento in cui ho segnato, i miei pensieri sono andati ai milioni di senegalesi a casa e a come quel gol li ha fatti sentire».

UN GOL CONTRO I COLONIZZATORI

Ciò che ha reso quel momento più dolce è stato l’aver realizzato quel gol contro la Francia, che ha colonizzato il Senegal per quasi 300 anni. Gran parte dell’identità senegalese era – ed è tuttora – legata alla Francia, tanto che quando “Les Bleus” vinsero la Coppa del Mondo nel 1998 ci furono grandi festeggiamenti per le strade di Dakar. Alla vigilia della Coppa del Mondo del 2002, gli opinionisti chiamarono il Senegal la “Francia B”, una squadra fondamentalmente composta da giocatori che non erano abbastanza bravi per unirsi ai campioni del mondo in carica. Questo commento era anche una tacita ammissione: pochissimi sapevano di cosa fossero capaci i “Leoni della Teranga”.

Quindi aver prodotto uno shock del genere non aveva precedenti. «Nessuno se lo aspettava», disse Diop. «Alcuni dei giocatori della nazionale francese erano come degli idoli. Giochi partite così con l’obiettivo di chiedere la maglia a Zinedine Zidane, Thierry Henry o Patrick Vieira».

In questo senso, la vittoria per 1-0 assicurata dalla zampata di Diop che ha superato Fabien Barthez e sorpreso la difesa francese, fu un momento di vera emancipazione. Mostrò al mondo la nazionale senegalese e gettò le basi per una grande cavalcata. Guidati dal francese Bruno Metsu, che eccelleva come motivatore e sapeva come estrarre il massimo da ogni individuo, i debuttanti senegalesi tennero a bada Danimarca, Uruguay e Svezia fino a rivendicare un posto nei quarti di finale, un risultato che una nazionale africana raggiunse per la seconda volta nella storia. Alla fine, servì un “golden goal” nei tempi supplementari dell’attaccante turco İlhan Mansız per eliminare la nazionale dell’Africa occidentale.

«Bruno Metsu ci ha fatto sognare e credere in noi stessi”, diceva Diop. «Non pensavamo mai di poter perdere in quel Mondiale. Non era arroganza, mancanza di rispetto o di consapevolezza, ma fiducia in se stessi. I leoni non si lanciano nella battaglia pensando che perderanno. Non hanno bisogno di vantarsi del loro potere, lo mettono in mostra. Noi l’abbiamo fatto e non lo dimenticherò mai».

Nonostante abbia segnato tre gol in quel Mondiale, l’imponente centrocampista senegalese non ha mai cercato di enfatizzare la propria importanza. «Non è stato Bouba Diop a segnare contro la Francia, è stato il Senegal. Avendo giocato per il Lens e vivendo vicino alla città in Francia, la gente mi ferma sempre per chiedere di quel gol e di quella vittoria. Dico a tutti la stessa cosa: che la squadra migliore ha vinto ed era il Senegal».

È un ritratto profondo dell’umiltà che lo caratterizzava, sia come giocatore che come uomo. Ha sempre educatamente respinto l’etichetta di “eroe” e, nonostante venisse riverito in Senegal, ha vissuto tranquillamente lontano dai riflettori dopo il suo ritiro. Alla richiesta di approfondire le attività in cui si era impegnato una volta ritiratosi, le aveva descritte come «non importanti”, ma aveva rivelato che si stava godendo più tempo con la sua famiglia. «Una volta appese le scarpette al chiodo, ho dedicato la mia vita a passare del tempo con la mia famiglia e a condividere le mie conoscenze con i ragazzini che vogliono una carriera fuori dal calcio. Il calcio mi ha dato così tanto e volevo solo aiutare il più possibile».

CUORE D’ORO”

Questo è un sentimento che coloro che hanno giocato con lui e che lo conoscevano bene riconoscono senza dubbio. Secondo l’ex difensore della Repubblica Democratica del Congo Gabriel Zakuani, che ha giocato al fianco del centrocampista senegalese al Fulham, è stata questa magnanimità a rendere Diop speciale. «Nonostante fosse un gigante, aveva un cuore d’oro. Emanava sempre energia positiva e il suo sorriso era contagioso», dice Zakuani.

«Non riesco a pensare a nessuno che avrebbe da dire una brutta parola su di lui. Lui animava il nostro spogliatoio. L’ultima volta che gli ho parlato è stato circa sei settimane fa. Abbiamo parlato per circa cinque minuti dopo che avevo saputo [della sua malattia] e sembrava di buon umore. Non conoscevo le sue reali condizioni, quindi è stato un vero shock per me».

Anche Nwankwo Kanu, leggenda della Nigeria e due volte calciatore africano dell’anno, ha condiviso lo spogliatoio con “l’Armadio” quando vestiva la maglia del Portsmouth. «Era un giocatore molto importante e una persona felice. Sempre positivo riguardo al calcio e alla vita», ha ricordato.

«È stato fantastico giocare con lui e al Portsmouth noi africani ci siamo divertiti, come fratelli dello stesso continente. È una grande perdita per il calcio africano perché ha lasciato un segno positivo».

Quell’”Unione africana” comprendeva Diop, Kanu, Sulley Muntari, John Utaka e Benjani Mwaruwari, un nucleo di calciatori forte che, con un quartetto di vittorie con un gol di scarto, portò i Pompey alla storica vittoria della FA Cup nel 2008 sotto la guida dell’allenatore Harry Redknapp. Un fattore determinante di quella solidità era, ovviamente, l’imponente presenza di Diop in mezzo al campo.

«È stato determinante per il nostro successo in quella stagione», ha detto Redknapp. «Fisicamente e tecnicamente aveva tutto ed era sempre in grande forma. La notizia [della sua morte] è stata uno shock. La sua struttura fisica lo ha reso un giocatore quasi impossibile da affrontare in campo. Ma fuori era sempre un piacere stargli accanto, era sempre allegro. I tifosi erano entusiasti di lui».

UN EPISODIO ASSURDO

Diop poteva sembrare aggressivo in campo, ma rimase sereno quando fu vittima di razzismo durante il breve periodo trascorso in Grecia con l’AEK Atene tra il 2010 e il 2011.

«Mi piaceva la vita in Grecia, ma quell’episodio mi ha fatto davvero impazzire. Ma è la vita. Sai che alcuni ti odieranno per essere quello che sei e avere quello che hai. Come uomo, non devi lasciarti influenzare».

Diop ha rivelato che i suoi genitori erano preoccupati che non ce l’avrebbe fatta nello sport e lo esortarono a concentrarsi sui suoi studi.

«Come i tipici genitori africani, i miei volevano che andassi a scuola. Ma ho sempre voluto essere un calciatore professionista, da quando giocavo con i miei amici durante e dopo la scuola. Mi hanno lasciato perseguire quel sogno a malincuore e hanno finito per sostenermi. Sentire il mio nome alla radio quando giocavo per il Senegal o per i club ha dato loro gioia e felicità. Ho giocato in Francia e Inghilterra e ho segnato per il mio paese ai Mondiali, direi che alla fine li ho resi orgogliosi».

Diop è morto a Parigi il 29 novembre. Il quotidiano francese L’Équipe ha riferito che la causa della sua morte è stata la sclerosi laterale amiotrofica, nota anche come SLA o malattia dei motoneuroni.

Musulmano devoto, Diop viveva con la sua famiglia – la moglie Marie-Aude e i loro due figli – nella città di Lens, nel nord della Francia. Diop ha ricevuto un funerale di stato con tutti gli onori militari il 4 dicembre ed è stato sepolto nella sua città natale, Rufisque, vicino a Dakar, con una cerimonia privata.

«Sono orgoglioso di lui come persona, padre e marito. Si merita tutti gli onori che ha ricevuto», ha detto Marie Aude.

Il presidente del Senegal Macky Sall ha annunciato che un museo in uno stadio da 50.000 posti, che è in costruzione vicino alla capitale Dakar, sarà intitolato a Diop, che è stato anche insignito postumo del premio “Cavaliere dell’Ordine Nazionale al Merito”.
Forse il tributo più toccante è arrivato dal due volte calciatore africano dell’anno El Hadji Diouf, la cui corsa feroce portò all’assist per il famoso gol vittoria di Seoul. Diouf ha detto al settimanale L’Observateur: «Penso che Papa Bouba meriti di ricevere in Senegal quello che Maradona ha ricevuto in Argentina, perché ha davvero segnato il suo tempo. Se non altro per il suo gol contro la Francia, il primo ai Mondiali del 2002, che ha fatto conoscere il Senegal in tutto il mondo. Sono molto triste, ma so che è la volontà di Dio. Tutto quello che mi viene in mente è dire grazie a Papa Bouba per quello che ha fatto per questo paese. È un grande patriota. Un fratello, un monumento, un soldato della nazione, un degno figlio di questo paese se n’è andato».

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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