di Samindra Kunti – New Frame, 17/06/2021

Traduzione di Gezim Qadraku

L’allenatore belga non sarà  affascinante come gli altri accostati per la guida dei Bafana Bafana, ma la sua etica del lavoro, l’approccio e come si comporta lo rendono una figura perfetta.

L’allenatore dei Bafana Bafana [ soprannome dato alla nazionale sudafricana dai propri tifosi. In lingua Zulu significa letteralmente “i ragazzi, i ragazzi”, N.d.T] Hugo Broos, non è popolare. A 69 anni, i suoi trionfi e i suoi successi vengono spesso dimenticati e non hanno il peso che meritano. E in termini di personalità, Broos non è sexy. Il suo modo di fare calmo può essere un anatema per i tifosi che preferiscono il carisma degli allenatori moderni. 

Questo è stato piuttosto evidente durante la sua prima conferenza stampa a Johannesburg. I sudafricani desiderano la rinascita dei Bafana, avendo assistito al declino decennale della squadra dopo il trionfo nella Coppa d’Africa del 1996. Così  media e tifosi non sono rimasti impressionati dalla nomina di Broos, il cui nome non ha risuonato come il favorito Carlos Queiroz o il capocannoniere di tutti i tempi dei Bafana Benni McCarthy. All’allenatore belga è stato chiesto se fosse venuto a ritirare un assegno di pensionamento finale. 

Questa non è la prima incursione di Broos in Africa. In Camerun, inizialmente fu ridicolizzato. La sua inesperienza in Africa fu messa in discussione. Ma portò i Leoni Indomabili alla gloria nella Coppa d’Africa disputata in Gabon nel 2017, dando credito alla sua reputazione di vincitore tranquillo. 

Broos nasce a Humbeek, un villaggio a nord di Bruxelles, da una casalinga e un poliziotto. Gode di una giovinezza di piaceri semplici vicino al castello locale e partecipa a gare di pesca nella zona. Alla scuola cattolica, la sua educazione è severa. I preti governano con il pugno di ferro e suo padre, Dennis Broos, esorta il figlio a comportarsi come uno studente modello. 

Arrivano gli anni ’60. I Beatles pubblicano Sgt Pepper’s Lonely Hearts Club Band, il Celtic sconfigge l’Inter nella Coppa dei Campioni e un adolescente Broos gioca per l’FC Humbeek. Suo padre muore per insufficienza cardiaca e Broos ripete un anno di scuola a causa dell’itterizia, ma eccelle sul campo come difensore, avendo cambiato posizione dall’attacco.

Il presidente dell’Anderlecht Albert Roosens, che è spesso accreditato per l’ascesa del club dopo la seconda guerra mondiale, convince la madre di Broos che suo figlio è proprio quello di cui il suo club ha bisogno. Il cognato di Broos negozia che l’Anderlecht avrebbe depositato 100.000 franchi (circa 2.500 euro) in un conto di risparmio nel momento in cui il giovane calciatore avesse completato la sua decima partita per il club. Broos giocherà 454 partite per l’Anderlecht in 13 stagioni, vincendo tre campionati nazionali e tre trofei europei insieme alle leggende del club Paul van Himst, Rob Rensenbrink e Juan Lozano.

Difensore affidabile, veloce ed economico, Broos è uno degli dei minori. È forte in aria e ferma i suoi avversari in maniera corretta. Nel 1983, si trasferisce al Club Brugge, vincendo un altro campionato. È il club in cui ha avuto la sua prima grande opportunità da allenatore.

Polmoni e possesso

Novizio della professione a 39 anni, Broos ha un compito difficile davanti a sé. Succede all’allora emergente Georges Leekens, la stella dell’associazione degli allenatori belgi. Il capocannoniere Frank Farina è partito per l’Italia e il talismano del Brugge, Jan Ceulemans, si è ritirato. Calmo e composto, Broos ricostruisce la squadra con un 4-4-2, che a volte si trasforma in un 5-3-2, con ruoli chiave per Daniel Amokachi e il difensore itinerante Lorenzo Staelens.

«Il Club Brugge senza Ceulemans, si chiedeva la gente. Ma Hugo ha trovato le soluzioni giuste», dice Frank van der Elst, che faceva coppia con Staelens in difesa. «Era un allenatore d’attacco. La sua comunicazione non era forse troppo buona, non molto aperta, ma almeno molto onesta. Quando non facevamo bene, non lo nascondeva. Broos era ambizioso grazie al suo passato all’Anderlecht. Devi vincere lo scudetto all’Anderlecht, altrimenti hai fallito. Era uno che voleva assolutamente vincere».

Lo scudetto di Broos nella sua prima stagione nel 1992 è un colpo di fortuna, superando i favoriti Anderlecht e KV Mechelen. La sua squadra non possiede l’estro e l’appariscenza delle grandi squadre di Brugge allenate dall’austriaco Ernst Happel e dall’olandese Henk Houwaart, che tuttavia erano sostenitori della scuola di pensiero olandese a un tocco conosciuta come “calcio totale”. Anche il Brugge di Broos non è una squadra di colletti blu [con questa espressione si fa riferimento ai lavoratori manuali, di fabbrica, N.d.T]. Elimina il modello di calcio fisico di Leekens, ma mantiene l’avversione al rischio del suo predecessore. Il calcio del Brugge è piacevole, ma non raffinato. La sua squadra mantiene il possesso e ha la meglio in termini di resistenza e fiato a centrocampo.

«Hugo si allontanò dal modello di Leekens di palle lunghe con giocatori fisicamente imponenti e di segnare da calci piazzati», spiega Van der Elst. I risultati del club non erano così diversi, ma «sotto Houwaart, il Brugge era un po’ più spettacolare, e questo risuona. Broos non ha mai avuto abbastanza riconoscimento per la sua carriera».

La sentenza Bosman nel 1995 trasforma il gioco e, incapace di trattenere i propri talenti, il campionato belga diventa un pozzo da cui attingere giocatori promettenti per i migliori campionati europei. Broos non sa come trattare il talentuoso ma capriccioso Robert Špehar, anche se decide di cambiare modulo per accogliere il nuovo arrivato croato, che cercava la giocata per dare spettacolo e attirare l’attenzione. «Hugo è un uomo di principi», spiega Van der Elst. «Il rapporto con Spehar è stato difficile. È un uomo di regole e decoro. Forse non tratta così bene le star, ma quando giocavi bene non era mai un problema».

Irritato dall’uscita

L’SK Lierse batte il Brugge per il titolo del 1997 e Broos, costernato da come il club aveva pianificato la sua successione, lascia il Brugge dalla porta di servizio. A livello di club, non avrebbe mai più raggiunto il successo di quei giorni al Brugge. Trascorre cinque stagioni al Mouscron, portando il club vallone nella massima serie e raggiungendo la finale di coppa nel 2002. La sua longevità e coerenza con il Mouscron impressiona l’allora direttore tecnico della Federcalcio belga, Michel Sablon, che descrive «la sua chiara visione sullo sviluppo del calcio» come una risorsa.

Sablon, tuttavia, sceglie Aimé Anthuenis per la Nazionale belga e Broos succede a quest’ultimo all’Anderlecht. Fa debuttare il sedicenne Vincent Kompany in prima squadra insieme a Anthony Vanden Borre, che in seguito avrebbe fatto parte del TP Mazembe. Entrambi gli adolescenti erano considerati talenti generazionali, ma fu un azzardo da parte di Broos fidarsi dei due come coppia di centrali di difesa in un club che non tollerava la sconfitta. 

Broos ha dimostrato di saper far crescere  i giocatori. Al Brugge, Amokachi, René Eijkelkamp e Paul Okon hanno tutti ottenuto trasferimenti impressionanti. «Broos guarda spesso ai giovani per dare nuova linfa alla squadra», dice Sven Vandenbroeck, il suo ex assistente. «Questa è una delle sue qualità. All’inizio, Broos cerca giocatori più giovani che potevano contribuire ad una nuova squadra e a un nuovo successo».

Ma il suo incarico all’Anderlecht non era destinato a durare. Dopo una Champions League, Broos viene licenziato per la prima volta nella sua carriera nel 2005 e, ancora una volta, la sua partenza lo irrita. Secondo lui, la gerarchia dell’Anderlecht non gli aveva offerto abbastanza sostegno.

Broos si è mai ripreso dalla sua partenza da Bruxelles? Forse no. La sua reputazione è caduta in picchiata. Broos era superato e antiquato. Intraprende un’odissea, allenando in Grecia, Algeria ed Emirati Arabi Uniti. Tutti questi periodi sono stati brevi e senza successo. Nella sua biografia, Hugo Broos: Always Winning, ammette che alcune delle sue scelte sono state “irrazionali”. Diventa sempre più frustrato dalla mancanza di opportunità in patria. Poi, nel 2016, firma con il Camerun. 

Una squadra giovane prende forma

Broos e il suo assistente, Vandenbroeck, arrivano a Yaoundé sotto una nuvola. La stampa locale è scettica nei confronti del poco conosciuto belga, che non ha precedenti esperienze in Africa.

Ma Broos si adatta rapidamente al suo nuovo ambiente, anche se le differenze culturali a volte sono un ostacolo. «Era astuto nel giudicare ciò che era importante e ciò che non lo era», dice Vandenbroeck. 

Invece di fare battaglie o preoccuparsi della logistica, Broos impone la disciplina e non perde tempo per lasciare il segno nella squadra. Rinnova e ripulisce la squadra, eliminando le cadre, un gruppo di stelle affermate che esercitavano una seria influenza dietro le quinte ma si rifiutavano di impegnarsi per la squadra. Pareggiando due volte con il Sudafrica, il Camerun si qualifica imbattuto per la Coppa d’Africa 2017, ma le aspettative intorno alla squadra restano basse in vista della finale in Gabon.

Broos insiste che il Camerun abbandoni la preparazione in Marocco e si prepari invece in Guinea Equatoriale, dove le condizioni rispecchiano quelle della nazione ospitante. È una scelta cruciale per costruire e migliorare la condizione fisica e lo spirito di squadra. La giovane nazionale di Broos stava prendendo forma. Il capitano Benjamin Moukandjo fa da collegamento tra l’allenatore e i giocatori. Vandenbroeck, che all’epoca aveva 38 anni, aiuta a colmare il divario di età. 

«Era molto intelligente nel sapere quali messaggi doveva dare lui stesso e quali invece doveva dare il capitano», dice Vandenbroeck. «Era molto abile nel gestire il gruppo e gli individui. Abbiamo lasciato molte stelle a casa, ma avevamo ancora Benjamin Moukandjo in Francia e Vincent Aboubakar al Porto. Quelli non erano i personaggi più facili da gestire».

In vista della finale, Broos riduce il carico di lavoro dei suoi giocatori per concentrarsi sul rilassamento delle loro menti. «Sapeva cosa stava facendo, ha partecipato lui stesso a un numero sufficiente di finali», dice Vandenbroeck. «All’intervallo, ha sottolineato che eravamo fisicamente migliori e che dovevamo continuare a spingere per fare la differenza».

Il re degli sfavoriti

La sua squadra continua a spingere e gli sfavoriti combinano l’attitudine con le abilità, applicando duro lavoro, grinta e lampi di estro per trionfare. All’87’, Aboubakar colpisce con un’elegante mezza rovesciata che incorona il Camerun campione continentale a spese dell’Egitto. Al fischio finale, Broos, in camicia bianca, scende in campo per abbracciare e ballare con i propri giocatori 

«Sì, era emozionato, ma non esuberante», ricorda Vandenbroeck. «Il sollievo dopo la partita con il Senegal era maggiore perché erano i favoriti. Siamo andati in albergo, abbiamo cenato vicino alla piscina e mi sono tuffato con i giocatori. L’allenatore ha bevuto la sua solita birra e questo è tutto. In fondo, eravamo ovviamente molto orgogliosi».

In un certo senso, la sua vittoria in Africa ha rappresentato la redenzione per Broos dopo un decennio senza riconoscimento in patria. È stato il primo allenatore belga a vincere un torneo continentale. Nonostante questo, la sua avventura in Camerun è stata oggetto di esame. Questa squadra modesta ha semplicemente cavalcato la fortuna per tre settimane d’oro in Gabon?

«Come allenatore del Camerun, hai bisogno dell’attitudine che ti permetta di vincere in un breve lasso di tempo, con una squadra forte», dice Vandenbroeck. «Avevamo buoni giocatori, ma i giocatori camerunensi non appartengono al top dell’Africa tecnicamente. Mali, Sudafrica, Senegal e Marocco, questa è una storia diversa, tutti in top club europei, tecnicamente e tatticamente migliori. Il suo atteggiamento in Sudafrica sarà diverso da quello che abbiamo visto in Camerun».

Al Camerun e al Mouscron, tanti anni fa, Broos ha dimostrato di essere capace di portare gli sfavoriti al successo. E al Brugge, ha combinato la gestione delle persone, la tattica e il calcio potente per avere successo negli anni ’90. Ma il Sudafrica è una storia diversa. 

Ai Bafana piace ancora pensare di essere tra i pesi massimi del continente, anche dopo anni di risultati inferiori alle aspettative. Con i grandi tornei all’orizzonte, Broos avrà bisogno di tutti gli ingredienti che lo hanno spinto al successo in passato per dimostrare che non è semplicemente un altro allenatore che non riesce a dimostrare il proprio coraggio.

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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