Estratti da World Soccer, dicembre 1989

Una competizione dove per partecipare non conta solo il merito. L’idea della Superlega, proposta dai grandi club europei, non è una novità. Almeno a livello concettuale. L’abolizione del principio meritocratico per la partecipazione ad una competizione sia nazionale che internazionale, infatti, trova le sue radici in tempi lontanissimi e non sospetti.

Il primo grosso strappo in questo senso avviene nel mese di settembre del 1955 in Inghilterra, quando il segretario generale della federazione Sir Stanley Rous propone alla federazione un progetto che molti si avvicina ai criteri strutturale dell’attuale Superlega. Il calcio inglese, uscito a pezzi in termini di Nazionale dalle rassegne iridate del 1950 e 1954 nonché fortemente messo in discussione in termini di supremazia, soprattutto alla luce anche della vittoria per 6-3 dell’Ungheria a Wembley nel novembre del 1953, si trova a fronteggiare una delle sue crisi tecniche ed economiche più importanti del Novecento. Dal settembre 1950 al giugno 1955 gli stadi inglesi avevano perso circa due milioni di spettatori, disinnamorati dal gioco scadente che verteva su un difensivismo ad oltranza con pochi spazi alla creatività. I club, già usciti fortemente provati dal conflitto bellico, che non solo li aveva privati di entrate economiche per un lustro ma aveva portato in alcuni casi anche a danni importanti (per esempio gli stadi bombardati), si trovano a dover fronteggiare una costante mancanza di risorse economiche, circostanza mascherata dal criterio assolutamente democratico della Federazione Inglese, che in termini di riconoscimento e dignità sportiva, ha sempre tenuto i suoi club (dal vincitore del campionato nazionale all’ultimo club di quarta divisione) sullo stesso livello.

Nel giugno del 1955 le continue segnalazioni da parte dei club maggioritari a difficoltà di tipo economico portano Rous alla stesura di un documento decisamente innovativo che viene presentato il giorno 13 settembre 1955 al Congresso della Federazione. Tale documento andava a stravolgere oltre settant’anni di impostazione anglosassone, ipotizzando la creazione di una Superlega inglese, con 18 squadre partecipanti, senza retrocessioni. Il criterio di scelta di queste squadre, si sarebbe basato su parametri meramente economici, ovvero sulla solidità del patrimonio di ciascun club aderente. La rivoluzione avrebbe portato all’abolizione dei premi partita (due sterline per la vittoria, una per il pareggio a calciatore) e alla generazione di un nuovo meccanismo di retribuzione dei calciatori, a seconda delle loro caratteristiche tecniche. Quello pensato da Rous era sicuramente un progetto ambizioso e innovativo, ma che non andava a considerare il criterio meritocratico posto in essere nello statuto di fondazione della Lega Inglese, circostanza questa che ne portò ad un immediato e brusco accantonamento.

Ciò nonostante l’eco di tale riforma fece il giro d’Europa a tal punto che la notizia in tempo reale fu riportata dai maggiori quotidiani sportivi del Vecchio Continente, (tra cui la Gazzetta dello Sport che in data 14 settembre 1955 parlò in un articolo dettagliato le basi di tale riforma) che accolsero la notizia con sorpresa e curiosità.

Sempre nel 1955 nacque la Coppa dei Campioni. Pensata inizialmente come manifestazione ad inviti (delle squadre campioni nazionali), fin dal secondo anno divenne una manifestazione strutturata e regolare, basata su un criterio di partecipazione meritocratico (ovvero la partecipazione della squadra campione nazionale). 

A fine decennio, la Uefa aggiunse una seconda competizione, ovvero la Coppa delle Coppe, che sembra basata su un criterio di partecipazione puramente meritocratico (la vittoria della Coppa nazionale). 

La nascita di questi due trofei, aprì nuove strade e nuove prospettive ai club i quali videro, nel partecipare a competizioni che trovavano una loro logica fuori dai confini nazionali, una nuova fonte di reddito, atta a bilanciare le difficili finanze “interne”. Fu tale principio che portò al successo per un decennio della Coppa delle Fiere, competizione non riconosciuta dalla Uefa, anch’essa ad inviti, che poteva essere giocata in concomitanza alle altre due competizioni (il Barcellona è un esempio di club che nella stessa stagione giocò contemporaneamente la Coppa dei Campioni e la Coppa delle Fiere). La Uefa colse la palla al balzo ed alla fine del 1970 prese in gestione della Coppa delle Fiere che fu rigenerata e ristrutturata nei suoi criteri di partecipazioni (una sorta di criterio meritocratico per club non vincenti nelle loro leghe di appartenenza), dando i natali alla Coppa Uefa che vide la sua prima edizione nel 1971/72.

Gli anni tra il 1955 e il 1987 portarono quindi ad un cambiamento delle logiche economiche dei club più importanti di ogni nazione, i quali, nella strutturazione dei loro bilanci, iniziavano a considerare come variabile “non casuale” la partecipazione alle Coppe europee, le quali economicamente, tra incassi degli stadi, qualche diritto televisivo (nulla a che vedere con quanto in auge oggi) e premi, potevano integrare le loro risorse economiche.

Come vedremo questo meccanismo, nato come “sano” porterà poi in futuro ad una totale distorsione del concetto economico di partecipazione alle coppe, partecipazione diventata quasi necessaria ai fini della sopravvivenza dei club fin dalla fine degli anni Novanta arrivando addirittura alla aberrazione odierna ove la sopravvivenza di un club viene determinata non più dalla partecipazione alla competizione ma da un risultato sportivo di prestigio, quest’ultimo unico elemento non garantibile mai in nessuno sport e in nessuna competizione.

Nell’andamento di questo lento ma inesorabile fenomeno di dipendenza economica dall’evento, tra il 1987 ed il 1989 si verificarono alcuni fatti che portarono i club più in vista ad “alzare la voce” con la Uefa. Il primo evento fu il sorteggio al primo turno di Coppa dei Campioni tra Real Madrid e Napoli nel 1987/88, successivamente aggravato dal fatto che, eliminato il Napoli, il Real Madrid trovò al secondo turno con Porto (detentore del trofeo) e poi Bayern Monaco (a fronte di altri sorteggi di caratura molto più modesta). Le rimostranze si ampliarono la stagione successiva quando al secondo turno uscì in Coppa dei Campioni Psv Eindhoven-Porto (ovvero le due squadre ultime vincitrici del trofeo). Il banco saltò definitivamente nel settembre del 1989 quando al secondo turno di Coppa dei Campioni fu sorteggiato Milan- Real Madrid e Psv Eindhoven-Steaua Bucarest.

Nel novembre del 1989 l’allora presidente del Milan Silvio Berlusconi, unitamente ad altre figure di spicco per esempio il presidente del Real Madrid Mendoza, iniziarono a fare dei ragionamenti in merito ad una riforma del massimo trofeo continentale, soprattutto in virtù della sempre maggiore importanza che i diritti televisivi iniziavano ad assurgere.

Nel dicembre del 1989 l’illustre rivista inglese World Soccer si esprime  nei seguenti termini.

Il vento di cambiamento che negli anni 90 sta investendo il calcio europeo, porterà probabilmente alla realizzazione del grande ed amato sogno di Gabriel Hanot ovvero la nascita di una competizione europea per club, sviluppata con il format di un campionato vero e proprio. Gabriel Hanot, le cui idee ispirarono la nascita della Coppa dei Campioni, avrebbe senza dubbio approvato la nascita di una Super Lega composta da otto-dieci squadre, pur non amando magari le motivazioni che hanno portato alla nascita di tale progetto.

Ai tempi di Gabriel Hanot, la nascita di una massima competizione aveva il suo fulcro nella espansione e diffusione ad un certo livello del calcio di eccellenza; non così ora, ove le motivazioni della nascita di tale competizione sono da ricercarsi esclusivamente in una matrice di natura economica.

La questione è già stata discussa ai massimi livelli, con l’obiettivo di portare ad un bene comune di ordine superiore. I discorsi di partenza, sono stati improntati sull’onda della retorica, mascherando in realtà il desiderio di mantenimento delle posizioni predominanti da parte di alcuni club e dei loro amministratori delegati tra cui Jacques Ruts per il PSV Eindhoven, Silvio Berlusconi per il Milan, Ramón Mendoza per il Real Madrid con anche in misura più defilata club quali Barcellona e Olympique Marsiglia alla finestra.

Nel prossimo autunno, un torneo sperimentale che vedrà partecipare a Bruxelles Juventus Psv Eindhoven Ifk Göteborg e Anderlecht, verrà giocato con un solo obiettivo in mente, come indicato dall’amministratore delegato dell’Anderlecht Robert De Pot.

I semi stanno sbocciando, dal momento che nessuno dei partecipanti a questo torneo sperimentale è stato scelto a caso. Esiste infatti un legame comune tra ciascuno dei club che andranno a partecipare a questa competizione ovvero un legame commerciale tra alcuni dei maggiori gruppi industriali del continente quali la Philips, Volvo o Fiat.

De Pot ci ha riferito che l’obiettivo di questa competizione è ingrandirsi nel corso degli anni, includendo nuovi club e variando le sedi ospiti spostando la manifestazione per esempio a Torino o Göteborg.

In realtà il piano di espansione va oltre e con obiettivi più grandiosi. Se da un lato questo torneo da la possibilità di forte attrattiva presso il pubblico per la partecipazione di club elitari, l’obiettivo più grande e dichiarato è quello di convincere la Uefa che il campionato europeo per club è una strada perseguibile.

Ottenere la benedizione della Uefa è un elemento importante dal momento che il corpo funzionario del massimo organismo calcistico europeo si divide tra dirigenti diffidenti in merito alla questione ed altri che più realisticamente, sposando la tesi di De Pot, vedono il progetto realizzabile per fini commerciali (ma non come una necessità impellente).

«Noi desideriamo convincere la Uefa che il format di un campionato europeo  per club è fattibile e realizzabile, nonché perpetrabile nel tempo» – dice De Pot – «Noi vogliamo rimanere legati alle grandi industrie che sono dietro ai club e intendiamo procedere su questa via anche se in misura più lenta».

Ma il campionato così pensato, che sarebbe alla base della ristrutturazione delle competizioni della Uefa, inizialmente dovrebbe prevedere  otto-dieci club esclusivi, ma ciò non vieta che tale competizione possa essere aperta in futuro a tutti i club.

Tale considerazione non tiene però conto degli aspetti di alcuni club quali ad esempio il Barcellona, che assieme ad altri club storici, ha pochi se non nessun legame con il mondo industriale con un budget annuale di 26 milioni di sterline, la cui gestione, secondo i criteri pensati da De Pot, diventerebbe oltremodo limitante e complessa.

Come evolverà questa Superlega, è difficile da dire. Esiste il forte sospetto che nella corsa al potere sarà importante l’influenza che certi dirigenti di massimo livello dei Club più legati all’industria, potranno avere sui votanti.

Non è un segreto infatti che persone come Silvio Berlusconi del Milan o Bernard Tapie, uomo a cui sono legate le fortune dell’Olympique Marsiglia, abbiano vasti interessi in più aree di applicazione (industria e televisione ad esempio), con anche conflitti di interesse, e che la nascita di una competizione del genere potrebbe loro permettere di espandere il loro già vasto impero.

La preoccupazione generale è che la Uefa approcci il problema, verificandone la fattibilità, senza però tenere conto di tutti questi fattori.

I maggiori club come Ac Milan, Psv Eindhoven o Real Madrid, hanno un’enorme influenza su tutti gli altri, e De Pot, acidamente, mette le mani avanti su come la Uefa, che già presenta importanti introiti a livello della gestione delle tre massime competizioni europee, abbia solo da perdere a non dare un riconoscimento ufficiale a tale manifestazione.

De Pot continua sostenendo come la Uefa sia fortemente interessata al tutto ma solamente dal punto di vista televisivo e non considerando invece l’aspetto sportivo della manifestazione. De Pot continua affermando che Anderlecht sarà tra i membri fondatori di questa Superlega e che tale operazione ha delle matrici di necessità per l’evoluzione del Club e che la posizione del club verso le eventuali conseguenze e di non prenderle in considerazione.

De Pot conferma che probabilmente non tutti gli spettatori potranno gradire un tale approccio alla questione sportiva, ma ricorda come la realizzazione dell’evento possa portare enormi possibilità anche televisive per gli spettatori, circostanza questa che porterebbe anche club come i Rangers Glasgow, che in passato hanno investito in maniera importante su questo tema a rientrare nel pacchetto.

Perfino la riforma proposta da Boniperti, presidente della Juventus, di sezionare per meritocrazia i sorteggi delle Coppe Europee, proposta nata dopo la eliminazione della Juventus al secondo turno della Coppa dei Campioni del 1986/87 ad opera del Real Madrid, risulta risibile di fronte a tale radicale riforma.

Dall’analisi fatta 32 anni fa da World Soccer, emergono chiari tutti gli elementi base che hanno portato alla nascita della Superlega nel 2021. Gli spunti di riflessione sono notevoli e trasportabili al tempo attuale. In primis la Superlega nasce dalla esigenza dei club e non della Uefa. Esigenze a suo tempo di arricchimento economico e non come nel caso odierno di sopravvivenza. In secondo luogo viene smentito il fatto che già la nascita della massima competizione europea nel format di Champions League fosse dettata da proteste dei Club in merito alla suddivisione dei diritti televisivi di cui la Uefa sarebbe stata il maggiore beneficiario fino a quel momento.

Emerge inoltre l’atteggiamento arrogante (ritrovato nei dirigenti odierni) portato dal dirigente belga, che accusa la Uefa di non considerare l’importanza dell’evento sotto il profilo sportivo ma di considerarlo solo sotto il profilo televisivo, quando di fatto è esattamente il contrario.

La storia dirà che tale manifestazione così pensata da De Pot non ebbe mai luogo nel 1990, ma i due anni successivi saranno forieri di importanti rivoluzioni che andremo a raccontare nella seconda parte.

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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