di Gezim Qadraku

Se si apre la pagina di Wikipedia dedicata all’Europeo del 1996, si può notare come nella colonna dedicata al numero delle precedenti partecipazioni al torneo, per la Repubblica Ceca c’è il numero 3. Le tre partecipazioni però, fanno riferimento alla nazionale della Cecoslovacchia. Sarebbe corretto allora considerare quello del 1996, come l’Europeo di debutto per la Repubblica Ceca, una nazionale che fino a tre anni prima non esisteva. La dissoluzione avviene nel 1993, quando la Cecoslovacchia smette ufficialmente di esistere, per dare spazio a due nuovi stati: la Repubblica Ceca, appunto, e la Slovacchia.

È una nazionale che nessuno prende sul serio, quella che si presenta in Inghilterra per il campionato europeo che vede un cambiamento sostanziale. Si passa infatti da 8 a 16 squadre partecipanti. E le favorite non posso che essere le solite “grandi”. In primis l’Italia, che arriva dal secondo posto ai mondiali del ‘94. Poi ci sono Germania e Francia, seguite dalla Danimarca, campione d’Europa in carica, Spagna, Olanda e Portogallo. Tutte le altre partecipanti non vengono considerate attrezzate abbastanza per poter dire la loro.

Eppure il percorso della Repubblica Ceca nel suo girone di qualificazione non lascia alcun dubbio sul potenziale della squadra. Inseriti nel gruppo con Olanda, Norvegia, Malta, Bielorussia e Lussemburgo, i cechi raggiungono il primo posto. Dieci partite giocate: sei vittorie, tre pareggi e una sola sconfitta. Primo posto nel gruppo e biglietto diretto per l’Inghilterra. Qui, ad aspettarli, c’è un gruppo di fuoco con Italia, Germania e Russia. Comprensibile che la nazionale ceca non venga considerata tra le favorite. L’esito del Gruppo C sembra già scritto: Italia e Germania a giocarsi i primi due posti, senza alcuna chance per russi e cechi.

La Repubblica Ceca che si presenta all’Europeo 1996 è una compagine quasi sconosciuta. Sulla panchina siede Dušan Uhrin, ex calciatore dalla carriera non brillante, nato a Nová Ves nad Žitavou nel distretto di Nitra. Nonostante tre anni prima cechi e slovacchi si fossero divisi, il destino li porta a stare di nuovo insieme, perché Uhrin è proprio di nazionalità slovacca. Il commissario tecnico utilizza un 4-4-2 molto semplice. In porta c’è Kouba, la linea dei quattro difensori è composta da Suchopárek, Kadlec, Horňák e Látal. I quattro di centrocampo sono un giovanissimo Nedvěd, Němec, Bejbl e Berger. Davanti, Poborský è la spalla di Kuka. 

Nella prima giornata del Gruppo C accade ciò che tutti si aspettano. La Germania sconfigge la Repubblica Ceca per 2-0, mentre l’Italia ha la meglio sulla Russia per 2-1. La seconda partita è già decisiva per i cechi. Una sconfitta significherebbe tornare subito a casa. È il 14 giugno e a Liverpool va in scena la prima sorpresa di quel gruppo. Arrigo Sacchi prende la partita sotto gamba e fa un turn over parecchio spinto. Si decide tutto nel primo tempo. Ad aprire le marcature per i cechi è Pavel Nedvěd, volto sconosciuto agli italiani in quel momento, ma che diventerà uno dei talenti più brillanti ad aver giocato in Serie A. L’Italia pareggia con Enrico Chiesa al 18’. Una decina di minuti più tardi arriva l’episodio che cambia la partita. Apolloni commette una brutta entrata e riceve il secondo giallo, lasciando i suoi compagni in dieci per il resto della gara. Al 35’ Bejbl sfrutta il vantaggio numerico e porta i cechi sul 2-1. Nel secondo tempo, gli uomini di Sacchi nulla possono contro l’ottima organizzazione dei cechi. Nell’altra gara i tedeschi passeggiano sui russi per 3-0, staccando il biglietto per i quarti. L’ultima partita è decisiva. I cechi devono battere una Russia già eliminata, mentre l’Italia deve vincere contro una Germania già qualificata e sperare in un passo falso degli uomini di Uhrin. 

Sono due partite da cardiopalma. L’Italia inizia sbagliando un calcio di rigore con Zola, la Repubblica Ceca invece passa dall’essere in vantaggio per 2-0 a farsi recuperare e superare dai russi, che si portano sul 3-2 all’85’. Risultato che permetterebbe agli azzurri di qualificarsi. La gioia italiana dura poco, perché è Šmicer a pareggiare i conti con la rete del 3-3. Si renderà protagonista di un altro clamoroso 3-3 della storia del calcio, nove anni dopo a Istanbul, con la maglia del Liverpool. Sia Italia che Repubblica Ceca pareggiano nella partita decisiva, ma a staccare il biglietto per i quarti sono i cechi, grazie alla vittoria nello scontro diretto. 

Nonostante il passaggio del turno, nessuno li prende ancora sul serio. La sensazione è sempre la medesima, ovvero che la nazionale sia destinata a tornarsene a casa. Ai quarti di finale c’è il Portogallo di Vítor Baía, Couto, João Pinto, Paulo Sousa, Rui Costa e Figo, che parte nettamente favorito. Si gioca al Villa Park di Birmingham. È la partita di Poborský. Nonostante i portoghesi abbiano maggior possesso palla e attacchino più spesso, i cechi resistono bene e si affidano ai propri talenti. Il fantasista dalla chioma fluente si prende le luci della ribalta al 53’. Dopo aver scartato tre portoghesi, grazie anche a un rimpallo fortunoso, raggiunge il limite dell’area e si accorge che Vítor Baía è fuori dai pali. La soluzione migliore è provare un pallonetto, ed è quello che Poborský fa. La palla si alza in verticale e inizialmente non sembra ci siano le condizioni affinché possa finire in rete, ma poi si abbassa e si insacca. È un gol bellissimo, che fa esplodere di gioia compagni e tifosi allo stadio. 

«Baia era fuori dalla sua porta, così ho pensato che la cosa più semplice fosse di fargli il pallonetto e sono riuscito a farlo piuttosto bene. La palla si alzò molto alta e pensai che non sarebbe potuta finire in rete, ma poi ci finì. Fu un gol meraviglioso e molto importante per noi.»

Karel Poborský

La partita finisce 1-0 e quel meraviglioso pallonetto permette ai cechi di raggiungere la semifinale. Ora nessuno si sogna di non considerare la Repubblica Ceca. I ragazzi di Uhrin iniziano a far paura. Le altre semifinaliste sono Francia, Germania e Inghilterra. I padroni di casa incontrano i tedeschi, mentre i francesi se la devono vedere con la sorpresa del torneo. Quella tra Francia e Repubblica Ceca è la prima semifinale. Si gioca a Manchester, il 26 giugno. Anche questa volta i cechi non partono favoriti, ma se prima nessuno avrebbe scommesso un centesimo su di loro, ora la musica è cambiata. La partita è contraddistinta da tante conclusioni dalla distanza. La più pericolosa dei 90 minuti è quella di Djorkaeff, che colpisce la traversa. Al triplice fischio, il risultato è ancora sullo 0-0. Si va ai supplementari, dove le due squadre provano a cercare il gol senza troppa convinzione. Si arriva ai calci di rigore e, in quel momento, la Francia è nettamente favorita. I francesi infatti avevano avuto la meglio nei quarti di finale contro l’Olanda, grazie a cinque rigori perfetti. 

I blues ripropongono gli stessi cinque rigoristi, nel medesimo ordine di battuta. Zidane, Djorkaeff, Lizarazu, Guérin e Blanc. Ancora una volta, nessuno dei cinque sbaglia. Anche i cechi però sono infallibili e così si va a oltranza. Per la Francia si presenta Pedros, che si fa ipnotizzare da Kouba. Il pallone decisivo è nei piedi di Kadlec, che non sbaglia e apre le porte della finale per la Repubblica Ceca. La felicità in campo e sugli spalti è incontenibile. La debuttante ha raggiunto la finale e a Wembley c’è la Germania. Il torneo per le due nazionali finisce esattamente come era iniziato. 

Anche quella sera del 30 giugno i cechi non partono favoriti, i tedeschi li hanno già sconfitti una volta in quel torneo e sono alla loro seconda finale consecutiva. Ma ormai tutti sanno che da quella nazionale è lecito aspettarsi di tutto. Nel primo tempo non accade niente che sia degno di nota. Poco prima dell’ora di gioco, è Poborský, con l’aiuto dell’arbitro italiano Pierluigi Pairetto, a dare una scossa alla partita. Il ceco si invola verso l’area tedesca, Sammer lo ferma commettendo fallo qualche metro fuori dall’area, ma il direttore di gara concede il calcio di rigore. Sul dischetto si presenta Patrik Berger, in quel momento ancora sotto contratto con il Borussia Dortmund. Il ceco segna e porta in vantaggio i suoi. Il sogno di diventare campioni d’europa dura soltanto una quindicina di minuti, quando il subentrato Oliver Bierhoff pareggia con un colpo di testa. La finale termina sull’1-1 e bisogna andare ai tempi supplementari.

A quei tempi c’è la regola del golden goal, il primo a segnare durante la mezz’ora di extra time vince la partita. I supplementari durano giusto cinque minuti, quando ancora Bierhoff, con una conclusione sporca di sinistro, riesce a piegare le mani a Kouba e regala il primo trofeo alla Germania unita. Quel gol mette la parola fine ai sogni della Repubblica Ceca. Nazionale che riceve complimenti e applausi dal pubblico, ma che torna a casa con tanto rammarico, per essere riusciti a giocarsela anche in finale. Se non altro, resta il debutto migliore di una nazionale nella storia dei campionati europei. 

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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