di Alejandro Wall, Tiempo Argentino (25/10/2020). Traduzione di Andrea Meccia.

Era un vertice dei capi di Stato del Mercosur. Asunción, Paraguay, 19 giugno 2005. Néstor Kirchner arrivò nel pomeriggio al Sabe Center, l’hotel dove avrebbe alloggiato solo per qualche ora. La notte, il Tango 01, l’aereo presidenziale, lo avrebbe condotto a Rosario per i festeggiamenti del Día de la Bandera, il Giorno della Bandiera. Mentre la delegazione presidenziale occupava le camere riservate allo stesso piano, Miguel Núñez, il portavoce di Kirchner, accese la televisione con la certezza, già acquisita, di vedere i canali argentini. Il Racing giocava ad Avellaneda contro il Lanús in uno degli ultimi incontri della stagione. Núñez, anche lui tifoso del Racing, si accomodò in poltrona per vedere la partita. Dopo qualche minuto telefonò Kirchner, a cui non sfuggì, immediatamente, il rumore di fondo. 

– Cosa stai vedendo?

– Il Racing.

Kirchner chiuse subito la comunicazione. Un attimo dopo, bussò alla porta della stanza del suo portavoce ed amico. Aprì una bottiglia d’acqua, ordinò qualcosa da stuzzicare e si sedette a vedere la partita. Ad angosciarsi. Kirchner si fermava, camminava, tornava a sedersi. Sbuffava. A Núñez iniziò a squillare il telefono. Aveva disposto una cena con gli altri capi di Stato. «Dovete aspettare, sta sbrigando alcune faccende di Buenos Aires», informava Núñez. Il tempo passava, la partita proseguiva. Il telefono era rovente. «Di’ che ci è scoppiato un casino», chiedeva Kirchner. Núñez fece quello che era nelle sue possibilità. Kirchner dovette uscire. Quando arrivò alla cena, Hugo Chávez e Lula erano i più preoccupati. Chiesero se ci fossero problemi in Argentina, quanto gravi fossero, ma Kirchner non riuscì a trattenersi. 

– Niente di che, è lui che non mi lasciava venire perché stava giocando il Racing – disse ridendo mentre indicava Núñez.

– E che abbiamo fatto? – chiese Lula.

– Abbiamo vinto 2 a 0 – rispose Núñez.

Lula, tifoso del Corinthians, parlava in prima persona plurale quando si trattava del Racing a partire dalla seconda visita che Kirchner aveva fatto in Brasile, la prima come presidente dell’Argentina, nel giugno del 2003. Lula lo accolse nel Palácio da Alvorada. E fu Miguel Núñez che alla fine dell’incontro, prima delle foto di rito, informò Kirchner del regalo che aveva portato. Era una maglietta del Racing, quella che aveva come sponsor la Petrobras, la compagnia petrolifera brasiliana a capitale pubblico e privato. Di quell’incontro, rimase l’immagine di Lula che stringeva la maglietta. Tre anni più tardi, durante un incontro a San Paolo, Kirchner fece in modo che Lula indossasse la maglia del Racing sulla camicia. È una delle tante cartoline della loro relazione, insieme a quella in cui il brasileño restituì il favore con una maglietta del Corinthians, la 10 di Carlos Tévez. Era una forma di complicità che li accomunava.

Quando andò a far visita alla Casa Rosada, nel 2005, anche Tévez donò a Kirchner una maglietta del Corinthians. Era stato campione del mondo con la maglia di Lula. Kirchner iniziò a lamentarsi come era solito fare con tutti i calciatori che incontrava: «Devi venire al Racing». Fece la stessa cosa anche con Martín Palermo quando nel dicembre del 2003 un gruppo di giocatori del Boca Juniors, vincitore della Coppa Intercontinentale, gli fece visita nel suo studio. «Siediti qui, Martín, però devi venire al Racing» gli disse mentre lo faceva accomodare sulla sedia presidenziale.

Kirchner diventò del Racing lontano da Avellaneda, nella provincia di Santa Cruz, per via del suo papà, con il quale nei fine settimana si barricava ad ascoltare le partite con una radio Tonomac, come raccontato dal giornalista Ezequiel Scher in una newsletter del sito Cenital. La stessa radio che anni dopo avrebbe usato in compagnia di suo figlio Máximo. «A diciassette anni – ha scritto Scher – toccò il cielo con un dito quando l’equipo di Juan José Pizzuti battè il Celtic e divenne campione del mondo. Era il 1967. I suoi idoli erano Roberto Perfumo, el Panadero Diaz, el Chango Cárdenas e Norberto Raffo. Fin dai primi anni ’60, aveva una profonda ammirazione per Federico Sacchi». Ma nel suo ufficio presidenziale, Kirchner era solito mostrare ai suoi ospiti un quadro del 1950, l’anno della sua nascita, che ritraeva il Racing campione per il secondo anno di fila. Sarebbero stati in totale tre i successi consecutivi in Primera División di quella squadra, tra il 1949 e il 1951.

– Era una squadra leggendaria – dice Miguel Núñez.

Poi vennero i viaggi a Buenos Aires, negli anni ’80, e le trasferte allo stadio Cilindro con Máximo. Fino a quando Máximo, adolescente, già appassionatissimo tifoso del Racing, avrebbe iniziato ad andare per conto suo. Lo stadio e la politica a volte sono difficili da conciliare. Il 27 dicembre del 2001, dopo un’astinenza di successi di 35 anni, il Racing giocò con il Vélez la partita con cui si gettò alle spalle anni di sventura. Ma il governatore di Santa Cruz [Néstor Kirchner, Ν.d.T] era alle prese con problemi ben più stringenti, in un Paese che vedeva la gente scendere in strada al grido: «¡Que se vayan todos!» [«Che se ne vadano tutti!», N.d.T.]. Quel pomeriggio, la deputata Cristina Fernández [moglie di Kirchner e futura presidente, N.d.T.] chiamò Miguel Núñez per commentare un po’ i fatti del giorno, qualche questione politica, una dichiarazione. Il presidente era Adolfo Rodríguez Saá. Cristina non sentiva nulla per via del rumore sulla linea.

– Dove sei, Miguel?

– Allo stadio.

– Allo stadio?

Kirchner, udita la voce della moglie, si fece dare il telefono.

¡Hijo de puta! Sei allo stadio? Perché non me lo hai detto? Come hai fatto ad avere i biglietti?

Sarà stato per quello che il giorno prima di assumere la carica di presidente, il 24 maggio 2003, Kirchner mandò Núñez a sbrigare un po’ di affari proprio all’ora in cui il Racing doveva scendere in campo contro l’Olimpo. Quel giorno, era un sabato, Kirchner aveva come intuìto che forse sarebbe stata la sua ultima volta al Cilindro di Avellaneda. Ci andò insieme a chi doveva diventare ministro della Salute, Ginés González García. Una foto in cui i due si mettono le mani in faccia riassume la partita: Racing sconfitto per due reti a zero. Al suo fianco, sugli spalti, c’era Fernando Marín, presidente della Blanquiceleste, la società amministratrice del Racing. Marín, amico di Mauricio Macri, avrebbe sostenuto negli anni che fu Kirchner a spingerlo a lasciare il club tre anni dopo. Ma la crisi definitiva dell’amministrazione sopraggiunse quando Kirchner non era più presidente, nel 2008. In quei giorni, un gruppo della barra bruciò una bandiera con la scritta “Kirchner 2007-2011”. Volevano le elezioni. Il Racing combatteva per non retrocedere. Kirchner diede impulso a dei sommovimenti politici. Attraverso il governatore della Provincia di Buenos Aires, Daniel Scioli, nominò come revisore dei conti del club Héctor García Cuerva. L’avvocato che aveva dato il al controllo amministrativo, faceva adesso il suo ritorno per farsi carico del processo di reistituzionalizzazione del club. 

– E chi vincerà? – chiese Kirchner a García Cuerva durante un incontro nella residenza di Olivos.

– Non so, speriamo che siano quelli buoni.

A vincere fu Rodolfo Molina, di Racing Vuelve, una lista che aveva l’appoggio di dirigenti del kirchnerismo ma anche di quel gruppo conosciuto come “i notabili”, una compagine trasversale che includeva Julio Alak, Carlos Melconian, Horacio Rodríguez Larreta e Marcelo Bonelli. L’influenza di Kirchner nella politica interna del Racing era inevitabile. Non solo con dirigenti a lui vicini. Per il club si muovevano imprenditori che avvicinavano i giocatori e che si facevano riconoscere come uomini di Kirchner. I terreni sui quali il Racing costruisce un centro sportivo furono consegnati – come per il Boca Juniors – quando Cristina era presidente. Il complesso, rimasto fermo per molto tempo per via delle proteste degli abitanti della zona che denunciavano come quella costruzione mettesse in pericolo una riserva naturale, porta il suo nome. 

Nel 2009 i soci tornavano al voto, ma il Racing continuava ad essere il Racing. E qualche mese più tardi lottava ancora per non retrocedere. Il tecnico era Ricardo Caruso Lombardi. Kirchner era candidato a deputato e sfruttò una manifestazione del sindacato metallurgico UOM (Unión Obrera Metalúrgica) nel microstadio del Racing per far visita ai giocatori. Il produttore Javier Grosman, che lavorava alla campagna, partorì l’idea dopo una chiacchierata con González García. A Caruso non dispiacque. Kirchner atterrò con l’elicottero su uno dei campi secondari del complesso. Parlò con i giocatori e promise due televisori in caso di vittoria contro il Boca. Il Racing vinse. Kirchner, qualche giorno più tardi, di televisori ne portò quattro. 

– Quando poteva parlava di calcio in modo da mettersi subito in sintonia con l’interlocutore – ricorda Grosman –.

A me diceva: «Ehi, Ruso, dobbiamo vincere questo fine settimana» o «come abbiamo giocato male domenica». Viveva il calcio. Non lo analizzava, lo viveva.

– Néstor non parlava di altro che non fosse politica – racconta Miguel Núñez –. Tutto era una questione politica. L’unica cosa che poteva distoglierlo dal tema politico era il Racing.

Alberto Fernández ha raccontato alla giornalista Ángela Lerena che una volta, quando era capo di Gabinetto, volle divertirsi un po’ con Kirchner perché l’Argentinos Juniors, la sua squadra le aveva suonate al Racing. Alberto andò alla Casa Rosada con la tuta del portiere Marcelo Pontiroli. Kirchner andò su tutte le furie e gli prese le chiavi di casa. «Mi fece tornare all’una di notte a cercare le chiavi. Quando glielo rinfacciai mi disse “non ridere mai più delle nostre sconfitte”», ricordò l’attuale presidente. Conosceva quei momenti di rabbia, allo stesso tempo sapeva come il Racing poteva tirarlo fuori da altri guai. Succedeva quando guardava Núñez e gli chiedeva aiuto:

– Miguel, parlagli del Racing, ti prego, parlagli del Racing.

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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