di Fanis Gekas, a cura di Alexandros Sotiropoulos – AthleteStories.gr, 30/06/2021

Traduzione di Enzo Navarra

Negli ultimi giorni del marzo del 2005 Otto Rehhagel mi convoca per la prima volta in Nazionale.

Poche settimane prima, a gennaio, mi ero trasferito [al Panathinaikos, N.d.T] dopo tre stagioni e mezzo giocate ottimamente al Kallithea, trovandomi sempre tra i primi posti della classifica cannonieri. Avevo la sensazione che Otto Rehhagel mi seguisse da tempo e, semplicemente, aspettasse che mi trasferissi in una squadra più importante per provare a schierarmi.

Era un Grecia-Albania al Karaiskakis per la qualificazione ai Mondiali del 2006. Abbiamo vinto 2-0 e, col mio ingresso a pochi minuti dalla fine, sono arrivando così al debutto in Nazionale.

La Grecia era diventata campione d’Europa pochissimi mesi prima ed è stato un vero onore entrare a far parte di questo gruppo.

Un nuovo volto di quella spedizione era Loukas Vyntra, mio compagno di squadra al Panathinaikos, che ha condiviso con me l’emozione della prima convocazione.

Ho conosciuto Rehhagel nell’albergo della squadra a Vouliagmeni nel primo giorno. Mi ha accolto, abbiamo parlato per poco e mi ha detto che si aspettava da me quello che faccio nel Panathinaikos: essere me stesso, non cambiare il mio stile di gioco e, naturalmente, segnare.

DALL’EL PASO AI TORNEI INTERNAZIONALI

Nell’estate del 2005 ho partecipato al mio primo importante torneo internazionale. La Confederations Cup in Germania.

Non dimenticherò mai la partita contro il Brasile, anche se non ho giocato nemmeno un secondo! Dalla panchina, a brevissima distanza da me, il miglior – dal mio punto di vista – Brasile della storia: Robinho, Kaká, Juninho Pernambucano, Adriano, Ronaldinho e molti altri! Successivamente abbiamo giocato contro il Giappone, perdendo 1-0, e nell’ultima partita il pareggio [0-0, N.d.T] contro il Messico. In queste due partite sono entrato all’intervallo.

Nella mia mente era incredibile il fatto che nel giro di sei mesi mi sono trovato dall’El Paso di Kallithea a un torneo di livello internazionale e mi gustavo ogni momento!

Mi sono inserito andando subito al sodo e questa è stata una grande scommessa per me, che alla fine ho vinto: dimostrare di essere all’altezza delle aspettative, di farcela e di meritarmi il posto in questa squadra.

Nell’autunno dello stesso anno abbiamo concluso il girone di qualificazione per il Mondiale al quarto posto, dietro a Ucraina, Turchia e Danimarca. È stato uno shock per noi non esserci qualificati da campioni d’Europa in carica.

Ci ha fatto un certo effetto però, al contempo, è stato l’inizio di un nuovo ciclo di partecipazioni nei tornei internazionali, con due Europei e due Mondiali in otto anni. Un ritorno di forza per la nostra Nazionale.

È stato un successo enorme per il calcio greco solamente partecipare in queste competizioni e i tifosi non se ne sono accorti sul momento, lo ritenevano quasi scontato ma in realtà non era proprio così, come si può notare dal percorso della Nazionale greca dal 2014 in poi.

IL RITORNO DELLA NAZIONALE

Siamo tornati a Euro 2008, in una competizione che è stata segnata dai contrasti tra i giocatori dell’Olympiakos e dell’AEK.

Giocavo già da due stagioni in Germania, disputando due ottimi campionati. Mi ero allontanato dalla realtà greca e la verità è che ai tempi non avevo capito la serietà della situazione, ossia quanto sarebbe stato pesante l’ambiente tra i membri della spedizione e quanto avrebbe influenzato la squadra. Inizialmente mi sembrava uno scherzo, perché i ragazzi facevano le battutine tra di loro però, purtroppo, non era affatto così.

Questi contrasti hanno influenzato l’ambiente nello spogliatoio. Rehhagel teneva sempre le questioni di club fuori dalla Nazionale ma qui, purtroppo, non poteva combinare molto, era una ferita fresca e non era passato tanto tempo per far passare questa tensione.

Lo dico e ne sono convinto: tutto questo ha influito sui risultati in quella competizione [eliminazione al girone con tre sconfitte contro Russia, Svezia e Spagna, N.d.T], potevamo fare meglio.

LA MIA “ESPLOSIONE”

Seguono le qualificazioni per i Mondiali del 2010, dove praticamente raggiungo il mio momento migliore in Nazionale. Concludo quella fase con dieci reti, da capocannoniere tra tutti i gironi della zona europea.

Ogni gol è stato anche importante: la doppietta in Lettonia, le reti decisive nei pareggi in trasferta contro Israele e Moldavia che hanno dato punti alla Nazionale e il poker nel 5-2 contro la Lettonia, una vittoria fondamentale dal punto di vista psicologico, dato che arrivò dopo due risultati negativi contro Svizzera e Moldavia.

Arriviamo quindi secondi nel girone alle spalle della Svizzera e ci qualifichiamo per gli indimenticabili play-off  contro l’Ucraina. Due partite in quattro giorni con emozioni così intense! All’Olimpico di Atene strappiamo uno 0-0 anche se abbiamo rischiato di perdere pesantemente. Subito dopo, mostriamo un volto totalmente diverso [vittoria per 1-0 con rete di Salpingidis in Ucraina, N.d.T] e ci qualifichiamo! Non so come abbiamo fatto a finire la partita a Donetsk, con così tanti infortuni come quello di Pliatsikas, il quale si è rotto il crociato e continuava a giocare!

La nostra festa con champagne nello spogliatoio e in aereo è stata indimenticabile. Siamo tornati a partecipare in un Mondiale dal 1994. E, ovviamente, si sarebbe trattato del debutto in questa competizione per tutti noi!

IL VIAGGIO IN AFRICA

Un Mondiale in Sudafrica, un’esperienza unica, la prima volta nel continente africano! Le migliori squadre del mondo!

Debutto contro la Corea del Sud. Uno shock. Un calcio totalmente diverso, un altro approccio, un’altra mentalità, un po’ anche la tremarella dell’esordio e perdiamo 2-0.

Non ci siamo arresi, tuttavia. Sapevamo le nostre potenzialità, sapevamo cosa eravamo capaci di fare e lo abbiamo dimostrato nella partita successiva.

Battiamo la Nigeria, la prima vittoria della Grecia nella storia dei Mondiali! Una delle partite più strane che abbia mai giocato nella mia carriera, con un’incredibile altalena di emozioni. Perdevamo 1-0 e alla fine l’abbiamo ribaltata! Nel secondo tempo, sul risultato di 1-1, fallisco un’occasione a tu per tu col portiere che respinge nell’area piccola e, nel proseguimento dell’azione, la Nigeria si butta in contropiede e il nostro portiere Tzorvas riesce anche lui a salvare la porta dopo un tu per tu. Infine è arrivato Torosidis che ha segnato la rete della vittoria! Un successo storico che è stato festeggiato degnamente!

L’ADDIO DI REHHAGEL

Segue la partita contro l’Argentina che aveva Maradona in panchina. Dopo la vittoria contro la Nigeria ci credevamo davvero alla conquista degli ottavi di finale, anche perché l’avversario era già qualificato. Abbiamo tenuto bene fino a 15 minuti dalla fine, ma fino a lì. Una partita che seguo dalla panchina, vedo Messi per più di un tempo che cammina e Papastathopoulos, che lo marcava a uomo, che riceve l’ormai famosa indicazione da parte di Rehhagel: «Tu, anche se va in bagno, lo devi seguire». Però parliamo di un calciatore incredibile a cui sono serviti cinque minuti per alzare il ritmo e fare la differenza. Abbiamo perso 2-0.

È stata l’ultima partita di Otto Rehhagel. Dopo la partita siamo andati in albergo, dove siamo rimasti per un giorno in modo da rilassarci prima di tornare a casa. Ad un certo punto, ci riuniamo e ci comunica la fine del suo ciclo in Nazionale. Era molto commosso ed è per questo motivo che non è tornato in Grecia con noi ma è rimasto in Sudafrica. Voleva molto un successo, una qualificazione agli ottavi.

È stato un momento, il suo addio, di grande importanza emotiva, perché parliamo di un allenatore che ha preso per mano una Nazionale che non esisteva e l’ha portata a vincere un Europeo e a giocare un Mondiale.

Otto Rehhagel è stato un uomo speciale e un allenatore a cui devo molto. Mi ha inserito nel giro della Nazionale. E non è stato semplice per me, visto che ero un giocatore che non ha seguito la trafila delle Nazionali giovanili. Mi ha aiutato molto, quindi, ad arrivare a quel punto sia da calciatore che da uomo.

IL RITIRO E IL RITORNO

Ad agosto, qualche settimana dopo, giochiamo un’amichevole a Belgrado contro la Serbia. Al termine della partita annuncio un ritiro temporaneo dalla Nazionale. Una decisione presa per motivi personali subito dopo il Mondiale, annunciata però in quel momento.

Contemporaneamente anche Giannis Amanatidis e Sotiris Kyrgiakos presero la stessa decisione. Vorrei specificare che si è solo trattata di una coincidenza, ognuno di noi aveva i suoi motivi.

È stata una decisione molto difficile per me. Difficile ma necessaria. Se non mi fossi fermato in quel periodo, forse sarei anche diventato il capocannoniere della storia della Nazionale. Doveva succedere ed è successo, non ho mai considerato questo. 

Tanta gente non sa che in quel periodo mi trovavo sempre vicino alla Nazionale. Prima e dopo le partite, prima dei viaggi parlavo sempre con i ragazzi.

Un anno dopo ho incontrato Fernando Santos e Takis Fyssas. Con assoluta onestà ci siamo detti quello che dovevamo dirci. Sono tornato, dunque, in una partita importantissima, contro la Croazia in casa per le qualificazioni a Euro 2012. Ero molto felice, perché la Nazionale ha sempre occupato un posto speciale nel mio cuore.

Al primo raduno, in albergo, ho avuto la sensazione di non essere mai mancato nemmeno un minuto. Sicuramente per alcuni, anche all’interno della squadra, è stato strano questo «vado via e torno», visto che non ho mai reso pubblico il reale, e personale, motivo per cui l’ho fatto. Però non pensato per niente a tutto questo. Ero molto felice. Santos ha subito parlato a tutta la squadra per non avere fraintendimenti.

Il portoghese era molto determinato. Un allenatore che ha continuato a tracciare la strada percorsa da Otto Rehhagel. Un allenatore – credo – più severo dal punto di vista tattico rispetto al suo predecessore. Però anche una persona che conosceva la mentalità greca, visto che aveva già lavorato in alcune squadre elleniche. Questo ha reso più semplici le cose, dato che raccoglieva un’eredità importante. Poteva scherzare con noi tutto il giorno però in campo si trasformava. Duro e giusto allo stesso momento.

Torno quindi il 7 ottobre 2011, al Karaiskakis. E lo faccio nella maniera migliore possibile.

In una partita importante, in uno stadio che ruggiva, con un’atmosfera speciale. Come se non fosse passato un giorno. Per me, tuttavia, non era cambiato nulla. Ero lì per fare quello che ho fatto negli ultimi cinque anni. Dare una mano alla Nazionale per raggiungere il suo obiettivo, la qualificazione all’Europeo.

Segno di testa il 2-0, tutto lo stadio mi incita, tutta la squadra è unita. Sia i titolari che le riserve. Una rete che mi serviva, una rete che ha cancellato un anno di assenza e tutto quello che era successo prima.

PRESENTI IN UN’ALTRA FESTA

Nella fase finale di Euro 2012 ci siamo qualificati ai quarti di finale ed è stato un enorme successo, soprattutto se lo mettiamo a confronto con la situazione attuale della Nazionale.

Pareggio con la Polonia padrona di casa, vittoria contro la Russia e sconfitta contro la Repubblica Ceca. Ed è così che ci è capitata una fantastica Germania. Sapevamo che sarebbe stato molto difficile, dovevamo gettare il cuore oltre l’ostacolo per qualificarci. Nonostante questo, penso che ci abbiamo provato dando il massimo con un’eliminazione a testa alta [sconfitta per 4-2 contro la Nazionale di Löw, N.d.T].

Per me è stata una competizione speciale, perché ho segnato contro la Repubblica Ceca la mia unica rete in una fase finale con la Nazionale. Una rete che rimarrà per sempre nella mia carriera ma – diciamola tutta – è stato anche un regalo che mi ha fatto Petr Čech.

IL PERCORSO PER IL BRASILE

Nelle qualificazioni per i Mondiali del 2014, avremmo potuto essere anche primi nel girone, ottenendo così direttamente il pass per il Brasile, ma eravamo sotto a pari punti con la Bosnia Erzegovina. Penso che potessimo fare meglio anche se, per fortuna, non ci è costata cara la sconfitta per 3-1 a Zenica.

L’ultimo ostacolo per la qualificazione era la Romania ai play-off . Abbiamo fatto una fantastica partita di andata in casa e, vincendo 4-1, eravamo con un piede e mezzo nella fase finale. Questi play-off, per fortuna, sono stati diversi rispetto a quelli contro l’Ucraina per i Mondiali del 2010. È stato tutto più semplice dopo la partita di andata.

Così ci siamo trovati nel paese del calcio per eccellenza, il Brasile.

Cominciamo con una sconfitta per 3-0 contro la Colombia. Nel primo tempo avrei potuto anche segnare e la partita avrebbe potuto essere diversa. Nella seconda partita è arrivato il pareggio per 0-0 contro il Giappone e, infine, la vittoria contro la Costa d’Avorio con il rigore di Samaras a tempo scaduto, qualificandoci così agli ottavi.

Un altro grandissimo momento per la Nazionale, per il calcio greco. È stato molto importante aver fatto un passo in avanti rispetto al 2010: facevamo parte della storia, di una pagina d’oro della Nazionale.

IL RIGORE FATALE

E così è giunta l’ora della fase ad eliminazione diretta, la partita contro la Costa Rica. Il sorteggio ci aveva reso la vita un po’ più semplice, visto che non affrontavamo delle potenze come Brasile, Argentina, Olanda o Germania.

La preparazione alla partita scorre tranquilla, con la stessa routine prima di ogni incontro. Siamo pronti a tutto, anche per supplementari e rigori.

Santos ci disse che chiunque si fosse sentito pronto per i rigori poteva rimanere al termine dell’allenamento per calciarne qualcuno. D’altronde non eravamo ancora a conoscenza della formazione titolare.

Durante la riunione tecnica, il tecnico portoghese ci disse di aspettarsi una partita simile a quella contro la Costa d’Avorio. Sarebbe stato un match contro una squadra difficile da affrontare, molto unita e senza alcuna individualità di spicco. Era una ghiottissima opportunità per noi. Lo sapevamo. E ci credevamo. Potevamo scrivere un’altra pagina di storia.

Dalla riunione tecnica abbiamo saputo anche qualcos’altro. Keylor Navas, il portiere della Costa Rica e uno dei migliori della competizione – non è casuale che dopo i Mondiali sia andato al Real Madrid – era un pararigori. E sarebbe stata una cosa buona e giusta non arrivare ai tiri di rigore perché, nonostante avessimo a disposizione degli ottimi rigoristi, non saremmo stati i favoriti.

Personalmente Navas lo conosco bene. Era stato un mio compagno di squadra nel Levante nella stagione precedente, in un semestre che ho passato nella squadra spagnola. Abbiamo fatto amicizia, eravamo usciti anche qualche volta a cena. Ho parlato col nostro staff tecnico delle sue capacità, dato che lo conoscevo meglio di tutti.

La partita non va come avevamo previsto. Andiamo in svantaggio, ma la Costa Rica rimane in dieci. Penso che saremmo stati capaci di vincere la partita già dai tempi regolamentari. Anche nei tempi supplementari. Abbiamo fallito occasioni. Così arriva il momento dei rigori.

La cinquina dei rigoristi la decidiamo sul momento. Sono il quarto. Arriva il mio turno. Tutti, compagni e avversari, hanno segnato. Appoggio la palla sul dischetto e faccio qualche passo indietro. Nella mia carriera non ho mai avuto un punto preciso a cui mirare. A volte calciavo rasoterra, altre volte a mezza altezza, a destra o a sinistra. Prendo un respiro, guardo ai lati del portiere. Scelgo di calciare alla destra di Navas a mezza altezza, senza alcun dubbio.

Al mio ex compagno di squadra va molto di fortuna e lo para! Perché lo dico? Perché calcio con forza e precisione. Non mi aveva ipnotizzato. Ha scelto anche lui un angolo e penso che non abbia nemmeno fatto in tempo a vedere la palla. Semplicemente ha teso il braccio. Per questo dico che non lo sbaglio io, lo para lui! Con un po’ di fortuna ma lo fa! Ho calciato letteralmente il rigore perfetto! E lui ha eseguito la parata perfetta!

Si sono sentite tante cose dopo la partita nei giorni successivi, le quali non corrispondono al vero. È stato detto che mi conosceva dal Levante e che quindi aveva imparato il mio modo di battere i rigori. Niente di tutto questo è vero. Nella nostra esperienza in comune nella squadra spagnola non ho mai calciato un rigore! Né in partita, né in allenamento! Sei mesi là e non ho mai messo la palla sul dischetto, nemmeno per scherzo! Quindi io conoscevo di più lui, perché lo vedevo in allenamento e in partita, e non viceversa.

L’INSOPPORTABILE “DOPO”

Navas, dunque, respinge. I costaricani sulle tribune esultano ed è il momento in cui tutto diventa nero davanti a me. Segnano l’ultimo rigore e la partita finisce.

Sono passati due minuti che a me sono sembrati due secoli. Avevo perso il senso del tempo.

Rimango a terra, seduto sul terreno di gioco. Perso. Copro il viso con la maglietta. Tutti i ragazzi vengono da me a consolarmi e Giorgos Tzavellas è colui che mi solleva per portarmi fino agli spogliatoi. E se non mi avesse sollevato lui, forse sarei ancora rimasto là… 

Sono rimasto chiuso per due ore in una stanza. Avevo chiuso la porta a chiave e non poteva entrare nessuno. Non so cosa avviene attorno a me, non ho nemmeno salutato Fernando Santos che nel frattempo era andato via.

Dopo qualche ora, sono tornato in albergo.

Accendo il cellulare. Infiniti messaggi da amici e conoscenti, ma non voglio leggere nulla. Li ho aperti dopo giorni. Erano parole di sostegno, di supporto da tutto. Però in quel momento, ripeto, non vedevo più nulla. La prima e unica persona con cui ho comunicato è stata Vasso, mia moglie.

E dopo, di nuovo, il nulla assoluto.

Passo tutta la notte totalmente da solo. Insonne. Ho bevuto due bottiglie di whiskey da solo e, nonostante questo, non riesco a digerire quello che è successo. Il giorno dopo siamo tornati a casa e durante il volo sono riuscito a dormire poco, dopo tante ore senza chiudere occhio.

Arriviamo in Grecia e l’accoglienza della gente è stata commovente. Mi applaudono, mi abbracciano, urlano il mio nome e cercano di lenire la mia ferita.

Per circa due mesi, chiudo le orecchie davanti a tutto. Non leggo nulla, non guardo nulla, non sento nulla. La mia famiglia e i miei figli mi hanno aiutato ad isolarmi, a dimenticare.

Non so se fosse il peggiore momento della mia carriera o della mia vita, ma so che ero in una situazione molto brutta da calciatore.

Per la prima volta mi sentivo così male. Dopo più di un anno sono ripreso e calmato, dicendo che ormai era tutto alle spalle. Perché questo mi ha influenzato parecchio. È stata un’azione, un momento che tornava nella mia mente in continuazione, come un incubo.

Fino a quella serata del 29 giugno, nella lontana Recife, in una carriera – fino ad allora – durata 15 anni, avevo fallito solo un rigore, in un Panathinaikos-Aris. 16 rigori realizzati su 17. Questo è stato solamente il secondo che ho sbagliato…

Ed è stato un trauma così grande che nella stagione successiva, in Turchia con l’Akhisar, ho tirato 4-5 rigori e li ho falliti tutti! E, da quel momento, non ne ho più battuti altri. Nonostante gli allenatori mi incoraggiassero di andare al dischetto, non mi facevo mai avanti!

È stato un fatto che non dimenticherò mai, nonostante gli anni che sono passati e passeranno. 

L’EPILOGO E L’ABBANDONO

Dopo quella partita e, indipendentemente da quello che è successo con me, con il rigore e con quello che sarebbe successo dopo, penso che nulla sarebbe stato uguale per la Nazionale.

La Federcalcio aveva deciso di non proseguire il proprio rapporto con Fernando Santos. Ha voluto rinnovare, con l’arrivo di Claudio Ranieri, che ha coinciso con il ritiro di almeno otto giocatori, sia dalla Nazionale che dal calcio giocato. È stato tentato un rinnovamento che non è riuscito. Ed è normale, perché non è stato un processo graduale ma improvviso, che ha minato le stabili fondamenta della squadra.

Alcuni sono tornati temporaneamente, tra cui il sottoscritto. Ranieri è stato, in un certo senso, “costretto” a riconvocarci. In quel momento ero capocannoniere in Turchia. Però nulla, ormai, era lo stesso. La Nazionale era in fase calante e non si percepivano dei segni di ripresa all’orizzonte. Sono tornato per una partita e basta.

Ho lasciato in maniera silenziosa, come è avvenuto in generale nella mia carriera calcistica. Senza alcun rumore. Senza mai annunciare il mio ritiro.

L’ultimo che mi ha cercato è stato Michael Skibbe, che mi conosceva dalla Bundesliga e anche dalla nostra avventura in comune all’Eskişehirspor, in Turchia, dove mi ha allenato. Mi ha anche chiamato ma il mio ciclo si era ormai concluso.

Un ciclo durato quasi dieci anni, in cui ho sentito la Nazionale come una famiglia. 78 presenze, 24 reti.

Sono i ricordi più preziosi della mia carriera.

Li custodisco con amore e in maniera positiva, insieme a tutti i successi, le emozioni e le partecipazioni in cinque grandi tornei internazionali.

I due Europei, i due Mondiali, due qualificazioni alle fasi ad eliminazione diretta. Tutti questi, insieme al titolo di capocannoniere nella Bundesliga del 2007, sono i migliori momenti della mia carriera.

La Nazionale sarà per sempre al primo posto del mio cuore.

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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