di Shabnam Mobarez, a cura di Elena Vogiatzi – Athletestories.gr, 31/08/2021 

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Traduzione di Enzo Navarra

Il 15 agosto del 2021 i talebani hanno rioccupato la capitale dell’Afghanistan, due decenni dopo il loro allontanamento, avvenuto nel 2001, da parte delle truppe americane. La notizia ha fatto il giro del mondo e ha sollevato numerose questioni nella comunità internazionale per il futuro dei cittadini afghani. Soprattutto delle donne che vivono nel Paese…

Quando ho sentito la notizia dell’ingresso dei talebani a Kabul, il mio cuore si è spezzato.

Si è rotto in piccoli pezzi…

Ho sentito un dolore nel mio petto…

Sapevo che molte delle mie compagne della Nazionale di calcio vivevano a Kabul.

Dentro di me avevo la sensazione che qualcosa sarebbe successo a loro. Ho cominciato subito a cercarle, provando ad entrare in contatto con più ragazze possibile. «State bene?» chiedevo loro. Fortunatamente la maggior parte rispondeva. E questo mi faceva stare più tranquilla. Almeno sapevo che stavano al sicuro…

Alcuni giorni dopo, ho mandato di nuovo un messaggio a loro. «State bene?» ho chiesto alle ragazze che sono riuscita a trovare. Stavolta la risposta è stata «no». «Le cose – mi dicevano – non stanno andando bene…». Alcune sono scoppiate a piangere… Mi sentivo inerme… Non potevo fare nulla. Non potevo nemmeno dire che sarebbe andato tutto bene. Sapevo che non sarebbe stato così…

Sono scappata dall’Afghanistan all’età di 7 anni. Nessuno voleva lasciare la propria casa, il proprio Paese e la vita che portava avanti per così tanti anni. Certe volte, tuttavia, le circostanze ti costringono a farlo. E nel 2001 la situazione in Afghanistan era catastrofica. La mia famiglia è stata costretta ad andarsene.

Crescendo nel mio Paese, non ho avuto l’infanzia migliore. Le cose erano molto limitate per me perché ero una bambina.

I talebani che si trovavano al potere non davano molte opportunità alle donne. Non ce n’era nemmeno una che potesse fungere da modello sociale per le ragazze. Le donne le tenevano a casa e le calcolavano solamente per cucinare e pulire.

Da piccola tutto questo mi sembrava normale. «Le donne devono fare solo quel lavoro. Nient’altro» pensavo. Nella mia testa era così. Adesso, però, che ripenso a quegli anni, mi rendo conto di quanto possa essere triste per una bambina di questa età credere che l’unico lavoro di una donna sia stare rinchiusa in casa a cucinare e pulire.

Siamo andati via dal Paese alla ricerca di un posto in cui, soprattutto, sentirci al sicuro. E, in un secondo momento, avremmo potuto sperare in uno stile di vita migliore.

Abbiamo attraversato diversi Paesi in Europa per arrivare, alla fine, in Danimarca. Lì ho scoperto un nuovo mondo.

Se qualcuno mi chiedesse di descrivere in una parola cosa ho trovato in quel Paese, direi LIBERTÀ. E dico libertà perché in Afghanistan ho vissuto certamente gli anni dell’infanzia, avendo sempre accanto la mia famiglia però, in realtà, non mi sentivo libera! Non avevo l’occasione né l’opportunità di fare certe cose. Come, ad esempio, avere accesso all’istruzione e alla mia formazione, elementi che ritengo molto importanti per lo sviluppo di una persona.

Andando quindi in Danimarca ho scoperto un mondo totalmente nuovo! Ogni giorno che passava, imparavo qualcosa di nuovo. Ho cominciato a esplorare tutto il mondo intorno a me e diventare la persona che ho sempre voluto essere. Ho trovato i miei sogni ma anche la mia identità.

Successivamente, ho scoperto il calcio. Ad Aalborg, nel posto in cui vivevo. Fino a quel momento non ero a conoscenza di questo sport, non sapevo nemmeno se si giocasse in Afghanistan.

Nella zona in cui vivevo, l’intero isolato era abitato solamente da immigrati. I ragazzi scendevano per strada durante il pomeriggio per giocare col pallone e io guardavo loro dalla finestra del nostro appartamento. Mi sembrava abbastanza divertente quello che facevano. Ad un certo punto, decido di scendere e giocare con loro.

Ero l’unica ragazza tra loro ma la sensazione di giocare era fantastica, quindi non mi importava! Più ero a contatto col pallone, più mi innamoravo del gioco. Ora che ci penso, col calcio è stato un amore a prima vista!

Nonostante fossi l’unica ragazza a giocare col pallone con i ragazzi del quartiere, la mia famiglia non si è opposta. Anzi, mio padre era un mio tifoso dal momento che ho cominciato a giocare. Non aveva alcun problema. Gli altri sì. Le famiglie che vivevano nel quartiere. Non piaceva loro questa immagine. «Il calcio è solo per i maschi e gli uomini. Le femmine non giocano a pallone» mi dicevano in ogni occasione, sottolineando che il tennis o qualche altro sport fosse più consono per le ragazze.

Gli ostacoli che mi ponevano per farmi smettere di giocare a calcio e convincermi di occuparmi con uno sport “da femmina” mi hanno reso più forte! Sentivo di dover continuare a dimostrare a me stessa che avrei potuto fare quello che realmente volevo!

Sono andata avanti e non ho ascoltato nessuno. Non avrei mollato per nulla al mondo solamente perché me lo diceva qualcun altro. Avevo solo bisogno dell’appoggio della mia famiglia. E l’ho avuto!

Alcuni anni dopo, era estate, sono uscita come al solito per giocare a pallone con i ragazzi del quartiere. A un certo punto passa una donna che era un’allenatrice di calcio. Si è avvicinata e mi ha parlato di una squadra della zona. «Vuoi unirti? Lì giocano anche altre ragazze».

Mi ha colpito il fatto che ci fossero altre ragazze a cui piace giocare a calcio, ma mi sono chiesta: «Perché è la prima volta che sento questa squadra? Non l’avevo mai sentita negli scorsi anni».

Nei giorni seguenti l’allenatrice mi ha presentato alle ragazze della squadra e, presto, ho iniziato ad allenarmi con loro.

Il calcio mi ha aiutata molto. Sotto tanti punti di vista. Anche nell’apprendimento della lingua. Essendo l’unica ragazza dall’Afghanistan, tra le tante che venivano dalla Danimarca, ho dovuto imparare meglio la lingua per poter comunicare con loro. All’inizio usavo le poche parole che conoscevo. Nel tempo sono migliorata, fino ad arrivare – relativamente presto – al punto di comunicare in modo eccellente con le mie compagne di squadra.

Al contempo, in Afghanistan, era timidamente iniziato a svilupparsi il calcio femminile. A dir la verità non ho un quadro completo di ciò che stesse accadendo esattamente, dal momento che non abitavo più lì, ma sapevo che nel 2007 Khalida Popal ha gettato le basi per la creazione di una Nazionale di calcio femminile. Inizialmente, le ragazze coinvolte erano pochissime ma ben presto l’interesse è cresciuto sempre di più, così come anche il movimento.

Nel 2014, dopo la mia prima convocazione in Nazionale, ho cominciato a legarmi alla realtà del calcio afghano. In quel periodo pensavo che la situazione fosse buona ma, in sostanza, non lo era.

Durante il mio primo viaggio per giocare nel mio Paese pensavo che le condizioni di allenamento sarebbero state più o meno le stesse del club in cui ho giocato in Danimarca. Tuttavia, ho scoperto che le mie compagne di squadra in Afghanistan non avevano le stesse opportunità che avevo io. Qualcosa che dovrebbero avere, dal momento in cui giocano per la Nazionale del loro Paese. Questo mi ha sconvolto. Quando ho visto che non avevano gli spogliatoi adatti per cambiarsi, i vestiti adatti per allenarsi e i palloni adatti, ho preso la decisione – e ne ho fatto, in un certo senso, lo scopo della mia vita – di aiutare la squadra in qualsiasi modo. Volevo cambiare la vita delle donne che giocavano a calcio in Afghanistan, ma anche migliorare in generale la situazione attorno a loro.

Nel periodo in cui ho giocato in Nazionale [dal 2014 al 2018, N.d.R], ho cercato di creare passione ed entusiasmo per il gioco nelle giovani ragazze del Paese, in quanto, in quel periodo, ho anche allenato, alcune volte, le giocatrici dell’Under 21. Quello che ho sempre detto loro era di non smettere di sognare in grande! E, soprattutto, non smettere mai di provare a realizzare questi sogni!

Durante il mio secondo viaggio ho notato che il calcio femminile nel paese si stava sviluppando a un ritmo senza precedenti. La Nazionale stava andando molto bene. Ora aveva rapporti amichevoli con la Fifa, poteva viaggiare all’estero, organizzava camp estivi e aveva uno staff professionale. Allenatori che hanno aiutato in modo significativo le giocatrici, preparatori e persino fisioterapisti. Era fantastico!

Ero molto felice, perché erano stati fatti progressi significativi.

Fino a quando, nel 2018, ho fatto una triste scoperta. Sono venuta a conoscenza di alcuni episodi di molestie sessuali e psicologiche da parte di uomini, che lavoravano nella Federcalcio del paese, nei confronti di giovani calciatrici della Nazionale. Non avevo mai notato comportamenti del genere fino a quel momento. Ero scioccata!

Questa inchiesta è ancora in corso, quindi non vorrei aggiungere altro che possa inficiarla.

Posso dire solamente che, più o meno nello stesso periodo [dell’inizio dello scandalo, N.d.T], ci è stato offerto un contratto da firmare dalla Federcalcio afghana. Credo che con questa azione abbiano voluto, in un certo senso, “zittirci” perché sapevamo troppo. Personalmente l’ho rifiutato. Non ho accettato di firmarlo, perché mi stavano sostanzialmente privando della mia libertà. Non mi sarebbe stato permesso di parlare con i media se non fossero stati a conoscenza degli argomenti e del contenuto dell’intervista. Era un contratto unilaterale che non avrebbe favorito me ma la Federazione, poiché il suo obiettivo era probabilmente quello di non far trapelare alcuna informazione.

In quel frangente ho parlato pubblicamente del contratto e di conseguenza la Federazione ha tagliato i ponti con me. La mia decisione di non firmare, forse mi è costata la carriera in Nazionale. Ma avevo fatto una scelta consapevole. Ci sono momenti in cui devi decidere cosa vuoi dalla vita. Avrei potuto tacere. Non parlare di questo problema, accettare il contratto e far andare tutto nel verso giusto.

La mia morale e il mio senso etico, tuttavia, non mi hanno permesso di fare una cosa del genere! Ero pronta a rinunciare al mio sogno in modo da ottenere la sicurezza della prossima generazione di calciatrici. Quello che volevo davvero per le ragazze che desideravano giocare a calcio in Afghanistan era sentirsi al sicuro. Accertarmi che nessuno abusasse di loro…

Purtroppo, oggi, dopo i rapidi sviluppi nel Paese, dovrebbe cambiare tutto. Ad essere onesti, non mi sarei mai aspettata che le donne in Afghanistan tornassero alla situazione di vent’anni fa e iniziassero una nuova battaglia, questa volta contro i talebani.

I quali, ora che ci penso, ai miei tempi odiavano il calcio. Uno sport che ha dato forza alle donne del Paese ma anche la possibilità di far sentire la propria voce. Uno sport simbolo della loro libertà e dei loro diritti umani. Sfortunatamente, ora, questo sarà usato contro di loro e metterà persino in pericolo le loro vite.

Dopo che i talebani hanno ripreso il potere, ho chiesto alla Fifa, attraverso i social, di aiutare le mie compagne di Nazionale a lasciare il Paese.

Il governo australiano ha poi assistito più di 50 atlete a fuggire dall’Afghanistan per trovare sicurezza. Sono così felice di questo! Li ringrazio per l’aiuto che ci hanno dato. L’operazione non è stata facile. Non è stata affatto facile! Ci sono stati dei giorni molto difficili.

Tutti hanno lavorato molto duramente per raggiungere questo obiettivo.

Dovevano muoversi molto velocemente perché, da una parte, le vite di queste donne erano in pericolo e dall’altra perché i talebani avevano dichiarato una data di scadenza per la fine di agosto per la partenza degli stranieri e per gli afghani che volevano lasciare il paese.

Sapevamo che il tempo scorreva velocemente e non era a nostro favore. Ogni ora e ogni minuto erano preziosi. Per fortuna abbiamo ricevuto l’aiuto della Fifpro [Federazione Internazionale dei Calciatori Professionisti, N.d.R]. Il suo contributo è stato molto importante…

Tuttavia, devo notare che non tutte le donne che hanno giocato a calcio in Afghanistan sono ancora andate via. Per questo vorrei chiedere nuovamente alla Fifa, che ha mantenuto un atteggiamento – lo definirei – taciturno, nonché a tutte le organizzazioni internazionali di aiutarci per salvare le ragazze che non sono di Kabul ma di altre parti del Paese. Ad esempio Herat e Kandahar. Spero che la Fifa dimostri la sua identità. In modo da far vedere il proprio senso di responsabilità. [Lo scorso 4 settembre, tre calciatrici di Herat sono state portate in salvo in Italia. Inoltre, hanno conosciuto anche la Nazionale femminile di Milena Bertolini a Coverciano, N.d.T].

Per aiutare queste donne, che per me sono delle campionesse, perché, in tutti questi anni, hanno dimostrato coraggio, decidendo di giocare a calcio, realizzando in un Paese qualcosa che era molto difficile da creare.

Chiedo caldamente a tutti di non dimenticare quanto queste ragazze hanno lavorato duramente negli anni passati per realizzare i loro sogni. Non devono lasciare che i propri sogni si trasformino in incubi per essere abbandonate al buio!

Non avrei mai pensato che saremmo stati chiamati a dare una nuova battaglia. Una nuova battaglia in cui è quasi impossibile “combattere”.

In passato la Nazionale ne ha passate tante, fino a trovare la sua strada. Abbiamo combattuto grandi battaglie per superare ostacoli insormontabili. E siamo sempre state unite. Ora sembra quasi impossibile!

Penso che, da ora in poi, non ci sia futuro per il calcio femminile in Afghanistan. Non ci sarà futuro per lo sport femminile in generale.

I talebani possono dire che andrà tutto bene e che ognuno farà ciò che vuole, ma continuo a credere che non ci sia futuro per le donne che vogliono continuare o cominciare a fare sport nel Paese.

In questo momento, mi sento disperata. Sono afflitta. Tutte queste donne che hanno lavorato duramente negli ultimi due decenni per raggiungere i loro obiettivi e realizzare i loro sogni saranno probabilmente di nuovo guidate nell’oscurità.

Potrebbero non essere più in grado di uscire di casa. Sarà un momento molto difficile per tutte in Afghanistan. Non solo per chi fa sport.

La gente non dovrebbe rimanere in silenzio. So quanto possono essere crudeli i talebani con le donne. Non possiamo solo rimanere a guardare. Non dovremmo…

Personalmente continuerò a seguire tutti gli sviluppi. Dopo aver terminato il mio rapporto con l’Aalborg, ho scelto di prendermi una pausa. Con tutto quello che sta succedendo nel Paese, vorrei dedicarmi ad aiutare gli atleti afghani ma anche a completare i miei studi in Medicina.

Presto, però, tornerò di nuovo in campo…

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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