di Asker Hedegaard Boye – Weekendavisen, 08/04/2021

https://www.weekendavisen.dk/2021-14/samfund/en-streg-i-sandet

Traduzione di M. Albanese

Qatarsi. La Arbejdernes Landsbanksmetterà di essere il principale sponsor della Dbu [Dansk Boldspil-Union, la Federcalcio danese, N.d.T]. Inoltre, uno studio condotto tra gli appassionati del Paese rileva una massiccia preferenza per il boicottaggio del Campionato mondiale di calcio.

La Nazionale maschile danese sembra in un buon momento di forma dopo tre vittorie convincenti nelle prime tre partite di qualificazione al Mondiale. Fuori dal campo, però, non è che ci sia tutta questa coesione. Weekendavisen ha infatti scoperto che uno dei partner commerciali più importanti della Dansk Boldspil-Union (DBU), la Arbejdernes Landsbank [settimo istituto bancario danese per grandezza, N.d.T] ha chiesto una risoluzione immediata della partnership milionaria che sarebbe altrimenti durata fino al Mondiale che si giocherà a novembre e dicembre del prossimo anno. La banca si augura dunque di concludere la sponsorizzazione il prima possibile, tanto che secondo quanto raccolto da Weekendavisen l’intenzione è stata formulata in una lettera già inviata martedì [6 aprile, N.d.T] alla DBU. All’interno della DBU non confermano la risoluzione. E nemmeno la Arbejdernes Landsbank lo ha confermato.

Weekendavisen può tuttavia segnalare che dentro la Arbejdernes Landsbank si cela una profonda preoccupazione dovuta alla prospettiva di trovarsi a sponsorizzare indirettamente la fase finale del Campionato mondiale di calcio in Qatar, i cui stadi sono principalmente costruiti da lavoratori immigrati sottopagati e privati della propria libertà provenienti dall’Africa occidentale e dall’Asia meridionale. I maggiori azionisti della banca sono infatti le organizzazioni sindacali nazionali 3F [Fagligt Fælles Forbund, ovvero la Federazione Unita dei Lavoratori in Danimarca, N.d.T], HK [Handels- og Kontorfunktionærernes Forbund, il Sindacato degli operatori nel commercio e degli impiegati, N.d.T], il Dansk Metalarbejderforbund [il Sindacato dei lavoratori metalmeccanici danesi, N.d.T], la Fødevareforbundet NNF [il Sindacato dei lavoratori di settore alimentare e tabacco, N.d.T] e la FOA [Fag og Arbejde, il Sindacato dei lavoratori della pubblica amministrazione danese, N.d.T].

Una fonte all’interno della dirigenza della banca pensa che la DBU sia stata troppo occupata ad addossare le responsabilità di un possibile boicottaggio a Christiansborg [la sede del Parlamento danese: qui, a fine marzo, la maggioranza socialdemocratica aveva votato contro la richiesta formale alla DBU affinché boicottasse il Mondiale, N.d.T] e che la Federazione calcistica non abbia osato assumersi le proprie. I vertici della banca hanno anche menzionato la possibilità di cedere tutto il loro spazio pubblicitario [sulla maglia, N.d.T] ad Amnesty International, organizzazione impegnata nella difesa dei diritti umani.

Ma ora, invece, hanno deciso di tracciare una linea sulla sabbia del deserto. È così e non c’è altro. La banca, tuttavia, deve affrontare una sfida particolarmente impellente: non può sbarazzarsi semplicemente del contratto attuale con la DBU. In un’aula di tribunale, la preoccupazione e il disagio per le condizioni che permangono in Qatar non reggono. Non ci sono clausole in caso di scrupoli di carattere morale. Serve piuttosto trovare una via d’uscita alternativa e – a proposito di questo – una disputa antecedente in seno alla DBU può venire in soccorso di Arbejdernes Landsbank.

La legge dello scorso anno sui prestiti a breve termine – che ha reso illegale a chi fornisse dei crediti al consumo [forme di finanziamento di persone fisiche o famiglie allo scopo di sostenere appunto i consumi o rimandare/rateizzare i pagamenti, quindi non sono prestiti che sostengano degli investimenti, N.d.T] condividere pubblicità con le società di scommesse o gioco d’azzardo – ha infatti creato attriti tra la banca stessa e l’altro “partner ufficiale” della DBU, ovvero Danske Spils Oddset [società di scommesse gestita dalla lotteria di Stato danese, N.d.T] visto che entrambi hanno il diritto di mostrare il proprio logo sull’abbigliamento indossato dai giocatori della Nazionale in allenamento. A gennaio 2021, la nuova legge non è però ancora entrata in vigore e questo potrebbe essere l’asso nella manica di Arbejdernes Landsbank: durante le ultime tre partite internazionali, soltanto Oddset ha trovato posto sull’abbigliamento indossato in allenamento dalla Nazionale maschile danese. Il direttore dell’ufficio comunicazione e marchio di Arbejdernes Landsbank, Peter Froulund, non conferma né smentisce l’infrazione della legge da parte della DBU. Sostiene: «Per noi, in quanto azienda responsabile, è assolutamente cruciale poter identificare noi stessi e i nostri valori nelle nostre sponsorizzazioni».

Stando a quanto raccolto da Weekendavisen, molti degli altri principali sponsor della DBU si sono recentemente incontrati all’insaputa della Federazione calcistica. Nel corso dell’incontro si è discusso di quello che un partecipante alla riunione ha descritto come «un’insoddisfacente cooperazione» [da parte della DBU, N.d.T] in vista di Qatar 2022. Questo perché molti dei partner commerciali della DBU si sentono a disagio – nondimeno alla luce dei recenti rapporti pubblicati da Human Rights Watch e Amnesty International – con la prospettiva di una fase finale di un Mondiale in un paese dove l’omosessualità è illegale e i diritti umani basilari sono violati quotidianamente.

Il discutibile gesto di protesta della Nazionale, che ha indossato la maglietta con su scritto “Football supports change” – “il calcio sostiene il cambiamento” – non ha poi alimentato la sicurezza tra gli sponsor in imbarazzo. Nel prepartita contro la Moldova, l’iniziativa ha ottenuto otto secondi di visibilità dalla trasmissione televisiva prima degli inni nazionali. Nell’ultimo mese, le squadre nazionali di Norvegia, Olanda, Germania e Belgio sono del resto quelle che si sono maggiormente distinte nelle proteste. 

Christian Stadil, proprietario di Hummel – che ha sponsorizzato l’abbigliamento della Nazionale dal 1970 al 2004 e dal 2016 a oggi – riconosce che le domande poste riguardanti il Qatar sono «di grande rilevanza». Stadil parla di «uno sviluppo che abbiamo seguito da vicino», mentre gli altri sponsor esitano a presentarsi per non essere citati qui. Uno tra questi sponsor [che preferisce mantenere l’anonimato, N.d.T] chiarisce a Weekendavisen di trovarsi «in sincero dubbio» su come schierarsi. Un altro sponsor annuncia «difficilmente sarò uno dei primi a muoversi», ma dice che la possibilità di ritirare la propria sponsorizzazione «è certamente sul tavolo». Un terzo sponsor sostiene che sta valutando la possibilità di chiedere espressamente «di poter promuovere i diritti umani anziché dei messaggi commerciali» proprio in relazione al Mondiale. Inoltre, per un altro sponsor – il sopracitato Oddset – potrebbe rivelarsi difficile vedere il proprio logo stampato sull’abbigliamento della squadra nazionale durante la fase finale del Mondiale, visto che ogni forma di scommessa è illegale in Qatar. Questo vuol forse dire che la partnership di Oddset dovrà essere soggetta ad alcune restrizioni? Secondo Niels Erik Folmann, Ceo di Danske Licens Spil [la lotteria di Stato danese, N.d.T], questo è un argomento sul quale «prenderemo una posizione».

Il presidente della Dbu Jesper Møller, che è anche membro del potente Comitato Esecutivo dell’Uefa, la Federazione calcistica europea, da settimane non si reca agli incontri, ma il responsabile della comunicazione della Dbu, Jakob Høyer, afferma: «Non possiamo confermare che l’accordo con la Arbejdernes Landsbank sia stato interrotto. La banca ha un accordo con la DBU in qualità di partner della Nazionale maschile. La banca si sente – comprensibilmente – insoddisfatta a causa della nuova legge sui prestiti a breve termine, che ne ha reso illegale la sponsorizzazione a fianco di società di scommesse. Ciò ha influito sulla partnership con la Nazionale maschile e ha fatto sì che la banca non abbia il proprio nome stampato sull’abbigliamento con cui la Nazionale si allena dall’estate del 2020. La DBU si è scusata e ha stipulato accordi separati con la banca. La legge è ora in fase di modifica da parte del Folketing [il Parlamento danese, N.d.T] ma si attende ancora l’adozione definitiva. Ci auguriamo che un simile cambiamento consenta alla banca di beneficiare appieno della partnership».

La rivolta dei giovani

Tuttavia, gli sponsor non sono gli unici a preoccuparsi. A marzo, i sondaggi effettuati da Voxmeter e Megafon hanno mostrato che sono più i danesi favorevoli al boicottaggio che quelli contrari. E adesso la Danske Fodbold Fanklubber [Dff, è l’Associazione che raggruppa le tifoserie di tutto il calcio danese, dal primo livello ai dilettanti, N.d.T] – i cui membri contano tutti i fan club ufficiali di Superligaen, 1. division e Kvindeligaen [la massima serie del calcio femminile danese, N.d.T], oltre a cinque roligan-grupper – ha ultimato un sondaggio completo sull’atteggiamento nei confronti del Mondiale. Per diverse settimane, i Danske Fodbold Fanklubber hanno posto ai tifosi più appassionati di calcio dell’intero Paese una serie di domande su una serie di questioni, tra cui il Campionato del mondo del prossimo anno. I risultati si basano sulle risposte di 1.047 intervistati e l’esito, visto da Weekendavisen, mostra che l’83,6% dei danesi è dell’opinione che «il Mondiale deve essere spostato altrove», che il 63,5% risponde di essere «d’accordo» o «fortemente d’accordo» sul fatto che la Danimarca debba boicottare il Mondiale in Qatar, mentre solo il 20% ritiene che la Nazionale debba parteciparvi. Tra i danesi che si considerano “tifosi della Nazionale”, il 54% crede che la Dbu debba boicottare la Coppa del Mondo. Solo il 31% dei fedeli sostenitori della Nazionale pensa che la squadra debba recarsi in Qatar. «I nostri dati mostrano che l’opposizione proviene da un altro tipo di persone: è più una minoranza rumorosa», sostiene Christian Rothmann, presidente del Danske Fodbold Fanklubber, che ha precedentemente chiesto alla Dbu di stilare delle proposte concrete sia alla Fifa che al Qatar in quanto nazione ospitante.

Il sondaggio, che è stato condotto in collaborazione con diversi tra i fan club ufficiali delle società della Superligaen [Serie A danese, N.d.T] mostra anche che a sostenere il boicottaggio sono maggiormente i giovani rispetto agli anziani. Nella fascia d’età compresa tra i 26 e i 35 anni, ben il 68% ritiene che la DBU e la Nazionale debbano restare a casa. «Questo è quello che si potrebbe chiamare “la rivolta dei giovani”», dice Rothmann, il quale poi evidenzia che almeno la metà delle risposte è arrivata prima del lancio della campagna Fodboldens ansvar – et VM i menneskerettighedernes tegn, di DFF, il 22 marzo. 

Secondo la Dbu, un possibile boicottaggio potrebbe avvenire – come ha spiegato il mese scorso a Berlingske [il più antico quotidiano danese, con sede a Copenhagen, N.d.T] il responsabile della comunicazione Jakob Høyer – «a un livello più alto rispetto a quello sportivo. Poi ci deve essere una maggioranza nel Folketing e il boicottaggio deve essere applicato anche dagli imprenditori coinvolti». Sempre il responsabile della comunicazione, a proposito del sondaggio di Danske Fodbold Fanklubber, dice: «È difficile relazionarsi a un sondaggio che chiaramente non ha dato l’opportunità di rispondere altro oltre a sì o no, in un ambito che invece presenta maggiori sfumature e che avrebbe più risposte possibili. Inoltre, non è chiaro se questo studio sia rappresentativo o meno. Indipendentemente da questo, comprendo che i tifosi danesi – come pure tanti altri cittadini – siano critici nei confronti dello svolgimento del Campionato del mondo in Qatar nel 2022. Lo siamo anche nella Dbu, dove siamo peraltro scettici sul fatto che sia stato scelto il Qatar come paese ospitante del Mondiale».

Il boicottaggio come strumento

Il clima tra i tifosi danesi è pienamente in linea coi sondaggi condotti all’estero. Il panel del pubblico del programma d’attualità olandese Hart van Nederland, composto da 3.000 intervistati, ha indicato un 66% a favore del boicottaggio del Mondiale. E secondo un sondaggio realizzato da Civey per Der Spiegel, anche il 68% dei tedeschi è convinto che la propria Nazionale debba boicottare il Mondiale in Qatar l’anno prossimo. In Norvegia, un sondaggio condotto da Respons Analyse per il quotidiano VG [Verdens Gang, N.d.T] afferma che il 55% dei norvegesi sia favorevole al boicottaggio. Contrario invece è il 20%, che sostiene piuttosto la «linea di dialogo» a cui ha aderito la NFF, Federazione calcistica del Paese. Ma anche un buon numero di società professionistiche ha chiesto alla Nff di restare in patria nel caso in cui Haaland, Ødegaard e gli altri giocatori della Nazionale riuscissero a qualificarsi. Quindi è stata programmata un’assemblea straordinaria il 20 giugno per discutere del tema. 

In Inghilterra, il dibattito rimane al momento per lo più sul fronte interno della grande associazione Football Supporters’ Federation (Fsf), che conta oltre mezzo milione di tifosi organizzati e rappresenta tutte le squadre di calcio professionistiche. La Fsf è però preoccupata in particolar modo per le minoranze sessuali tra i tifosi: lo ha affermato, in un recente incontro virtuale tenutosi in rete, Football Supporters Europe, che consiste in un network di tifosi rappresentante 48 Federazioni nazionali, tra cui anche la danese Dff. In Qatar, infatti, l’omosessualità è illegale e la pena comminata arriva fino a tre anni di carcere. Per i musulmani del Paese, l’omosessualità può essere punita con la morte secondo la legge della sharia. I padroni di casa del Qatar, sotto la pressione internazionale, hanno permesso che le bandiere arcobaleno vengano sventolate negli stadi durante il Campionato del mondo, ma la Fsf non crede che si possa garantire la sicurezza dei tifosi gay in visita al Paese durante la fase finale della manifestazione. Attualmente, infatti, ci si sente in dovere di scoraggiare la comunità Lgbt dall’accompagnare la Nazionale inglese al Mondiale del prossimo anno. 

Il dialogo e la morte

In Danimarca, la Federcalcio ha da tempo prestato giuramento su quelli che vengono definiti come «dialogo critico» e «pressione costante». Il presidente Jesper Møller, in una consultazione della Commissione per gli affari esteri nel mese di gennaio, ha detto: «Non minacciamo di scappare [dal Qatar, N.d.T], bensì di non andarci proprio». Anche il Dif [il Danmarks Idrætsforbund, il Comitato Olimpico danese, con sede a Brøndby, N.d.T] vuole far ragionare gli sceicchi. Il responsabile delle pubbliche relazioni del DIF, Poul Broberg, ha definito un possibile boicottaggio «pura politica simbolica, a cui – in linea di principio – non vogliamo partecipare». Lui non pensa che «allo sport debba essere lasciata la responsabilità di dire “no”», ma non gli sembra che «lo sport non debba difendere 6500 morti, come è ragionevole che sia». Broberg fa riferimento a un articolo molto discusso pubblicato da The Guardian, che mostra che almeno 6.750 lavoratori migranti, la maggior parte dei quali sono uomini di età compresa tra 20 e 45 anni, hanno perso la vita da quando il Paese è stato scelto per ospitare il Campionato del mondo di calcio nel 2010.

Il ministro della Cultura Joy Mogensen (Socialdemocratici) ha precedentemente rifiutato di intervenire in merito. In una consultazione a gennaio, aveva affermato che non fosse compito di Christiansborg [il Parlamento danese, N.d.T] «animare la vita sportiva per mezzo della politica». La Mogensen ha ritenuto che la valutazione decisiva «debba spettare alle organizzazioni sportive», in quanto la Dbu è uno dei membri della Fifa, che a suo tempo ha assegnato ai qatarioti la fase finale del Mondiale. Nel frattempo, i padroni di casa hanno iniziato a muoversi e ha iniziato a manifestarsi pubblicamente una certa tensione tra la Fifa e il Qatar, che prima d’ora erano stati spalla contro spalla.

Hind al-Muftah, una delle figure pubbliche più famose del Qatar e membro donna del Consiglio della Shura che presiede l’Assemblea legislativa del paese, ha recentemente usato il suo account Twitter in lingua araba per criticare sia The Guardian che i gesti delle nazionali norvegese e tedesca a favore dei diritti umani, sottolineando come si verifichino effettivamente delle morti sul lavoro anche negli Stati Uniti e nell’Unione Europea. «La Fifa ha già punito certi giocatori e certe organizzazioni per le loro dichiarazioni politiche. Ma non è stato fatto niente ai giocatori della nazionale norvegese (…) Giustizia dalle forze dell’ordine!» ha chiesto retoricamente su Twitter il celebre membro della shura ai suoi quasi 71.000 follower.

Il dialogo amichevole della Dbu è in netto contrasto con la retorica un po’ spicciola del regime qatariota. In un tweet, al-Muftah paragona il gesto della maglia indossata dalla nazionale tedesca [il 25 marzo scorso, con la scritta “Human rights On and off the pitch”, prima della gara di qualificazione al Mondiale contro Gibilterra, N.d.T] con un giocatore della Nazionale croata, Josip Šimunić, che aveva eseguito un saluto nazista durante una partita nel 2013. Quest’ultimo era stato punito con una squalifica di dieci turni [saltò per questo il Mondiale 2014, N.d.T], ma pur essendo precedente quell’occasione non ha suscitato il profondo rammarico di al-Muftah. Che scrive: «Sembra che la Fifa abbia cambiato la sua politica in modo che ciò che prima era illegale ora sia diventato legale».

Leggi qui l’appello alla Danimarca al fine di boicottare i Mondiali: ‘Blodbold’ [Pallone di sangue, N.d.T.]

(Si ringraziano Weekendavisen e in particolare l’autore, Asker Hedegaard Boye, per aver consentito la traduzione dell’articolo in italiano)

Le cose belle si fanno sempre un po’ attendere … Come un gol al novantesimo

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